La deducibilità del Trattamento di Fine Mandato per gli amministratori, è stato e continua ad essere oggetto di ampio dibattito tra la dottrina e l’Agenzia delle Entrate. Preliminarmente, occorre sottolineare che allo stato attuale non vi è una norma specifica che regoli il trattamento fiscale del TFM. Difatti, la deducibilità degli accantonamenti per i TFM degli amministratori è equiparata a quella prevista per gli accantonamenti destinati al TFR (relativo ai rapporti di lavoro dipendente) ex art. 105, comma 4 del TUIR. Tale articolo sembrerebbe estendere la deducibilità delle quote accantonate al TFM secondo il principio di competenza. Differente parrebbe essere, invece, l’approccio dell’Agenzia delle Entrate, la quale, invece precisa che gli accantonamenti al fondo TFM hanno rilevanza fiscale secondo il criterio di cassa (salvo che per i rapporti aventi data certa).
Recentemente la Ctr di Milano, con la sentenza n. 5280 del 3 dicembre 2018, è intervenuta sul criterio di determinazione del Tfm; la fattispecie, nello specifico, riguardava l’impugnazione di un avviso di accertamento da parte di una Società di capitali in cui l’Agenzia delle Entrate richiamava a tassazione un maggiore IRES in virtù del disconoscimento, seppure parziale, della deduzione degli accantonamenti al fondo TFM, applicando ai medesimi la stessa disciplina prevista per le quote accantonate al fondo TFR. La Ctr accoglieva quindi le ragione del contribuente, sottolineando che:
- su tale istituto non esiste una precisa norma che fissi un tetto massimo del Tfm, questo difatti implica che la scelta della somma dovuta agli amministratori per il loro “fine mandato” è una scelta discrezionale dell’assemblea dei soci.
- Anche dal punto di vista fiscale vi è una carenza normativa, difatti non c’è ad oggi una specifica norma che pone un limite alla deducibilità degli accantonamenti al fondo TFM;
- Riconosce, tuttavia, la sindacabilità da parte degli uffici finanziari del quantum dei compensi da corrispondere agli amministratori, i quali devono comunque rispettare i principi di congruità e ragionevolezza rispetto all’effettiva situazione aziendale.
In definitiva, stante quanto enunciato dalla sentenza n. 5280/18, la deducibilità degli accantonamenti al fondo TFM non è sindacabile qualora quest’ultimo risulti da una delibera assembleare presa nel rispetto dei criteri di ragionevolezza e congruità e, comunque, non siano eccessivi e sproporzionati rispetto alla realtà specifica dell’azienda.
Studio ASSE - Commercialisti e Avvocati in Roma, Bologna e Milano. Dott. Arturo Gulinelli - Dott. Salvatore Magistri - Avv. Piero Cesarei - Avv. Matteo Pellegrini - Avv. Giampiero Agnese - Avv. Nicoletta Grassi - Sede di Roma, Via Scipioni 132 - 00192 - tel. 063700388 r.a. - sede di Bologna via L.C. FARINI 40124 Tel: 051/332017 - sede di Milano Piazza Velasca 8 - 20122 - Tel: 02/76004104 -
giovedì 20 dicembre 2018
lunedì 10 dicembre 2018
Divieto di detrazione per le erogazioni in denaro agli ETS: scampato pericolo!
Il Decreto Fiscale, letto e approvato al Senato passato successivamente al vaglio della Camera, ha lasciato non pochi dubbi sulla possibilità di detrazione e deduzione per le erogazioni liberali in denaro agli Enti del Terzo Settore prevista dal DLgs 117/2017 (Codice del Terzo Settore).
L’articolo 83 del suddetto codice ha previsto specifiche detrazioni e deduzioni fiscali per coloro i quali effettuassero erogazioni liberali tracciabili in denaro o in natura a favore di ETS:
- Detrazione del 30% degli oneri sostenuti fino ad un massimo di €30.000 per periodo d’imposta;
- Detrazione innalzata al 35% per le erogazioni in denaro a favore delle Organizzazioni di Volontariato (ODV);
- Importo massimo deducibile dal reddito complessivo netto pari al 10% del reddito complessivo dichiarato
Con l’emendamento, la norma viene privata dell’espressione “in denaro” e dunque sembrerebbe venir meno la possibilità di detrarre le donazioni effettuate per finanziare gli enti no profit, a meno che queste non vengano fatte in natura. Questo intervento di revisione della norma creerebbe non solo profonde problematiche interpretative ma disincentiverebbe le persone fisiche a effettuare donazioni ai suddetti enti, causando così il venir meno della loro principale fonte di finanziamento.
Dopo le iniziali preoccupazioni, sollevate soprattutto da parte del Forum del Terzo Settore, arriva il testo ufficiale e definitivo del Decreto a fare chiarezza e a riportare il sereno: anche le donazioni in denaro saranno detraibili nei limiti già previsti dal Codice Del Terzo Settore e inoltre gli oneri sostenuti per chi ha effettuato erogazioni liberali in natura a favore delle Organizzazioni di Volontariato saranno detraibili al 35%.
L’articolo 83 del suddetto codice ha previsto specifiche detrazioni e deduzioni fiscali per coloro i quali effettuassero erogazioni liberali tracciabili in denaro o in natura a favore di ETS:
- Detrazione del 30% degli oneri sostenuti fino ad un massimo di €30.000 per periodo d’imposta;
- Detrazione innalzata al 35% per le erogazioni in denaro a favore delle Organizzazioni di Volontariato (ODV);
- Importo massimo deducibile dal reddito complessivo netto pari al 10% del reddito complessivo dichiarato
Con l’emendamento, la norma viene privata dell’espressione “in denaro” e dunque sembrerebbe venir meno la possibilità di detrarre le donazioni effettuate per finanziare gli enti no profit, a meno che queste non vengano fatte in natura. Questo intervento di revisione della norma creerebbe non solo profonde problematiche interpretative ma disincentiverebbe le persone fisiche a effettuare donazioni ai suddetti enti, causando così il venir meno della loro principale fonte di finanziamento.
Dopo le iniziali preoccupazioni, sollevate soprattutto da parte del Forum del Terzo Settore, arriva il testo ufficiale e definitivo del Decreto a fare chiarezza e a riportare il sereno: anche le donazioni in denaro saranno detraibili nei limiti già previsti dal Codice Del Terzo Settore e inoltre gli oneri sostenuti per chi ha effettuato erogazioni liberali in natura a favore delle Organizzazioni di Volontariato saranno detraibili al 35%.
mercoledì 14 novembre 2018
Concordato con continuità aziendale: stop all’obbligo di versamento iva su note di variazione
L’Agenzia delle Entrate conferma la non sussistenza dell’obbligo di versamento dell’iva relativa alle note di variazioni emesse dai creditori in caso di concordato con continuità aziendale.
I creditori insoddisfatti alla chiusura del procedimento regolato dall’art. 186 bis L.F. possono ricorrere all’emissione di note di variazione ai sensi dell’art. 26 del DPR 633/72 per poter cercare di recuperare parte del proprio credito vantato nei confronti del debitore.
Già in passato l’amministrazione finanziaria con la risoluzione 161/E del 17 ottobre 2001, ha sottolineato che, trattandosi di una nota di variazione relativa ad un debito precedente all’avvio della procedura concorsuale, il debitore concordatario non è obbligato a versare nei confronti dell’erario l’iva relativa all’importo dovuto al creditore in quanto, se così non fosse, verrebbero meno gli effetti esdebitatori, previsti dalla legge, proprio per i debiti sorti anteriormente alla procedura.
Tuttavia, come conferma l’Agenzia delle Entrate con la circolare n.8/E del 07 aprile 2017, resta fermo l’obbligo da parte della società debitrice, di annotare nei registri iva la variazione in aumento successiva alla nota di variazione emessa dal cedente/prestatore, ciò al solo scopo di evidenziare la sussistenza del credito eventualmente esigibile contro il debitore tornato in bonis.
Non è dunque prevista la rettifica della detrazione dell’imposta nel caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, come previsto dall’articolo 185 della Direttiva 2006/112/CE, anche nel caso di concordato con continuità aziendale in quanto esso è previsto dall’articolo 26 del DPR 633/72 , come causa del “mancato pagamento in tutto o in parte” dell’importo pattuito, riconoscendo così al debitore concordatario il diritto alla detrazione dell’imposta ma non il pagamento della stessa.
I creditori insoddisfatti alla chiusura del procedimento regolato dall’art. 186 bis L.F. possono ricorrere all’emissione di note di variazione ai sensi dell’art. 26 del DPR 633/72 per poter cercare di recuperare parte del proprio credito vantato nei confronti del debitore.
Già in passato l’amministrazione finanziaria con la risoluzione 161/E del 17 ottobre 2001, ha sottolineato che, trattandosi di una nota di variazione relativa ad un debito precedente all’avvio della procedura concorsuale, il debitore concordatario non è obbligato a versare nei confronti dell’erario l’iva relativa all’importo dovuto al creditore in quanto, se così non fosse, verrebbero meno gli effetti esdebitatori, previsti dalla legge, proprio per i debiti sorti anteriormente alla procedura.
Tuttavia, come conferma l’Agenzia delle Entrate con la circolare n.8/E del 07 aprile 2017, resta fermo l’obbligo da parte della società debitrice, di annotare nei registri iva la variazione in aumento successiva alla nota di variazione emessa dal cedente/prestatore, ciò al solo scopo di evidenziare la sussistenza del credito eventualmente esigibile contro il debitore tornato in bonis.
Non è dunque prevista la rettifica della detrazione dell’imposta nel caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, come previsto dall’articolo 185 della Direttiva 2006/112/CE, anche nel caso di concordato con continuità aziendale in quanto esso è previsto dall’articolo 26 del DPR 633/72 , come causa del “mancato pagamento in tutto o in parte” dell’importo pattuito, riconoscendo così al debitore concordatario il diritto alla detrazione dell’imposta ma non il pagamento della stessa.
mercoledì 31 ottobre 2018
Pace fiscale: la dichiarazione integrativa speciale
L’art 9 del Dl 119/2018 introduce la possibilità di correggere errori od omissioni relativamente alle dichiarazioni presentate entro il 31 ottobre 2017, ai fini di imposte sui redditi e relative addizionali, imposte sostitutive delle imposte sui redditi, ritenute e contributi previdenziali, Irap e Iva, attraverso il “nuovo” strumento della dichiarazione integrativa speciale.
Rispetto alla dichiarazione integrativa regolata dall’art 2 comma 8 D.P.R. 322/98, secondo cui il termine di presentazione è entro il termine di decadenza previsto per l’accertamento (entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione), la dichiarazione integrativa speciale dovrà essere presentata entro e non oltre il 31 maggio 2019, solo se il contribuente ha regolarmente presentato tutte le dichiarazioni fiscali relative agli anni d’imposta dal 2013 al 2016.
Oltre l’omissione di una delle dichiarazioni relative ai suddetti anni, un’altra causa di esclusione dalla possibile presentazione di questo tipo di integrativa è sicuramente la formale conoscenza da parte del contribuente di accessi, ispezioni, verifiche, inviti o questionari o comunque dell’avvio di qualsiasi attività di accertamento ovvero di procedimenti penali a causa di violazioni di norme tributarie. L’emersione di attività finanziarie costituite o detenute all’estero non costituisce oggetto di integrazione.
Il limite massimo dell’imponibile oggetto di integrativa speciale è di 100.000€ di imponibile annuo e comunque di non oltre il 30% dell’importo che è stato già dichiarato; per le dichiarazioni con un imponibile inferiore a 100.000€ ovvero in caso di dichiarazione senza l’emersione di un debito di imposta per le perdite ai sensi degli artt 8 e 84 del Tuir, sarà comunque ammessa l’integrazione fino a 30.000€.
Una volta integrato l’imponibile, in eccesso omesso o erroneamente calcolato, il decreto prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 20% sul maggiore reddito IRPEF o IRES ai fini delle imposte, delle relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dei contributi previdenziali e IRAP, e sulle maggiori ritenute emerse. Per quanto riguarda invece l’IVA, al maggior imponibile emerso si applica un’aliquota media (da calcolare in base alle disposizioni del decreto, effettuando il rapporto tra l'imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d'affari dichiarato, tenendo conto dell'esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali).
Le maggiori imposte così determinate dovranno essere versate in un’unica soluzione entro il 31 luglio prossimo ovvero attraverso una rateizzazione fino ad un massimo di cinque anni con il versamento in dieci rate semestrali di pari importo a partire dal 30 settembre 2019. Le suddette maggiori imposte non possono essere oggetto di alcuna compensazione con altri tributi, nemmeno in caso di dichiarazione a credito in seguito all’emersione dei nuovi imponibili: la differenza tra il maggior credito della dichiarazione originaria e il minor credito calcolato successivamente alla presentazione dell’integrativa, andrà versata senza possibilità di compensazione.
Per quanto riguarda l’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, la versione attuale del decreto relativo alla pace fiscale prevede in caso di integrativa speciale, che i termini di accertamento vengano calcolati a partire dall’anno di presentazione della stessa e limitatamente agli elementi integrati.
Rispetto alla dichiarazione integrativa regolata dall’art 2 comma 8 D.P.R. 322/98, secondo cui il termine di presentazione è entro il termine di decadenza previsto per l’accertamento (entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione), la dichiarazione integrativa speciale dovrà essere presentata entro e non oltre il 31 maggio 2019, solo se il contribuente ha regolarmente presentato tutte le dichiarazioni fiscali relative agli anni d’imposta dal 2013 al 2016.
Oltre l’omissione di una delle dichiarazioni relative ai suddetti anni, un’altra causa di esclusione dalla possibile presentazione di questo tipo di integrativa è sicuramente la formale conoscenza da parte del contribuente di accessi, ispezioni, verifiche, inviti o questionari o comunque dell’avvio di qualsiasi attività di accertamento ovvero di procedimenti penali a causa di violazioni di norme tributarie. L’emersione di attività finanziarie costituite o detenute all’estero non costituisce oggetto di integrazione.
Il limite massimo dell’imponibile oggetto di integrativa speciale è di 100.000€ di imponibile annuo e comunque di non oltre il 30% dell’importo che è stato già dichiarato; per le dichiarazioni con un imponibile inferiore a 100.000€ ovvero in caso di dichiarazione senza l’emersione di un debito di imposta per le perdite ai sensi degli artt 8 e 84 del Tuir, sarà comunque ammessa l’integrazione fino a 30.000€.
Una volta integrato l’imponibile, in eccesso omesso o erroneamente calcolato, il decreto prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 20% sul maggiore reddito IRPEF o IRES ai fini delle imposte, delle relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dei contributi previdenziali e IRAP, e sulle maggiori ritenute emerse. Per quanto riguarda invece l’IVA, al maggior imponibile emerso si applica un’aliquota media (da calcolare in base alle disposizioni del decreto, effettuando il rapporto tra l'imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d'affari dichiarato, tenendo conto dell'esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali).
Le maggiori imposte così determinate dovranno essere versate in un’unica soluzione entro il 31 luglio prossimo ovvero attraverso una rateizzazione fino ad un massimo di cinque anni con il versamento in dieci rate semestrali di pari importo a partire dal 30 settembre 2019. Le suddette maggiori imposte non possono essere oggetto di alcuna compensazione con altri tributi, nemmeno in caso di dichiarazione a credito in seguito all’emersione dei nuovi imponibili: la differenza tra il maggior credito della dichiarazione originaria e il minor credito calcolato successivamente alla presentazione dell’integrativa, andrà versata senza possibilità di compensazione.
Per quanto riguarda l’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, la versione attuale del decreto relativo alla pace fiscale prevede in caso di integrativa speciale, che i termini di accertamento vengano calcolati a partire dall’anno di presentazione della stessa e limitatamente agli elementi integrati.
mercoledì 17 ottobre 2018
Novità in tema di fatturazione elettronica
Il decreto legge che accompagna la legge di bilancio, stando al contenuto ancora non pubblicato sulla gazzetta ufficiale, introdurrebbe delle interessanti novità in tema di fatturazione elettronica.
Il decreto prevede, in deroga alle norme previste dall’articolo 21 del DPR 633/72, che la fattura immediata si possa ritenere correttamente e tempestivamente emessa, e quindi inviata al sistema di interscambio dell’Agenzia delle Entrate, entro 10 giorni dalla data di effettuazione dell’operazione.
In questo caso nella fattura dovrà essere precisata la data in cui l’operazione è stata effettuata.
Vediamo con un esempio pratico: momento di effettuazione dell’operazione per una prestazione di servizio 16 settembre 2019 (p.e. la data di pagamento), data di emissione della fattura 26 settembre 2019; in tale ipotesi si dovrà scrivere, nella descrizione o nello spazio riservato alle note, che la data di effettuazione dell’operazione è del 16 settembre.
La regola citata varrà anche per le fatture cartacee e quindi per tutti i soggetti esclusi dall’obbligo di fatturazione elettronica.
Non cambia nulla per coloro che volessero emettere la fattura in pari data, nel nostro esempio in data 16 settembre.
La questione cambia in tema di invio al sistema di interscambio, per la fattura elettronica: infatti, coloro che emettono la fattura nel maggior termine di 10 giorni invieranno, sempre entro tale termine cioè in data 26/9/2019, la fattura all’Agenzia delle Entrate; coloro, invece, che non vogliono usufruire del termine ed emetteranno la fattura direttamente in data 16 settembre dovranno inviarla immediatamente.
Viene modificata anche la tempistica, ex art. 23 del decreto Iva, per la registrazione delle fatture emesse.
Le fatture oggi devono essere registrate entro 15 giorni dalla data di emissione, con le correzioni che saranno introdotte la registrazione dovrà essere effettuata entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione; il 15 del mese successivo alla data di emissione della fattura, per chi la emette il giorno di effettuazione, o successivo alla data contenuta nell’annotazione per chi si avvale dei 10 giorni in più previsti dal nuovo art. 21.
Quindi, se qualcuno emette una fattura sfruttando i 10 giorni in data 3/10/2019 per una prestazione effettuata in data 30/9/2019, l’annotazione dovrà essere eseguita in data 15/10/2019; mentre chi emette una fattura in data 7/10/2019 per una prestazione effettuata in data 1/10/2019, potrà registrarla entro il 15 novembre.
Per i primi sei mesi del 2019 non sono previste sanzioni per le fatture elettroniche emesse e trasmesse fuori termine massimo.
Il decreto prevede, in deroga alle norme previste dall’articolo 21 del DPR 633/72, che la fattura immediata si possa ritenere correttamente e tempestivamente emessa, e quindi inviata al sistema di interscambio dell’Agenzia delle Entrate, entro 10 giorni dalla data di effettuazione dell’operazione.
In questo caso nella fattura dovrà essere precisata la data in cui l’operazione è stata effettuata.
Vediamo con un esempio pratico: momento di effettuazione dell’operazione per una prestazione di servizio 16 settembre 2019 (p.e. la data di pagamento), data di emissione della fattura 26 settembre 2019; in tale ipotesi si dovrà scrivere, nella descrizione o nello spazio riservato alle note, che la data di effettuazione dell’operazione è del 16 settembre.
La regola citata varrà anche per le fatture cartacee e quindi per tutti i soggetti esclusi dall’obbligo di fatturazione elettronica.
Non cambia nulla per coloro che volessero emettere la fattura in pari data, nel nostro esempio in data 16 settembre.
La questione cambia in tema di invio al sistema di interscambio, per la fattura elettronica: infatti, coloro che emettono la fattura nel maggior termine di 10 giorni invieranno, sempre entro tale termine cioè in data 26/9/2019, la fattura all’Agenzia delle Entrate; coloro, invece, che non vogliono usufruire del termine ed emetteranno la fattura direttamente in data 16 settembre dovranno inviarla immediatamente.
Viene modificata anche la tempistica, ex art. 23 del decreto Iva, per la registrazione delle fatture emesse.
Le fatture oggi devono essere registrate entro 15 giorni dalla data di emissione, con le correzioni che saranno introdotte la registrazione dovrà essere effettuata entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione; il 15 del mese successivo alla data di emissione della fattura, per chi la emette il giorno di effettuazione, o successivo alla data contenuta nell’annotazione per chi si avvale dei 10 giorni in più previsti dal nuovo art. 21.
Quindi, se qualcuno emette una fattura sfruttando i 10 giorni in data 3/10/2019 per una prestazione effettuata in data 30/9/2019, l’annotazione dovrà essere eseguita in data 15/10/2019; mentre chi emette una fattura in data 7/10/2019 per una prestazione effettuata in data 1/10/2019, potrà registrarla entro il 15 novembre.
Per i primi sei mesi del 2019 non sono previste sanzioni per le fatture elettroniche emesse e trasmesse fuori termine massimo.
lunedì 8 ottobre 2018
La riforma delle Srl-PMI e il DL 50/2017
Il D.L. 50/2017 (convertito in legge n. 96/2017) ha introdotto importanti novità per le PMI. Esso infatti ha esteso alle PMI in forma di Srl alcune deroghe al diritto societario previste in precedenza solo per le start up innovative.
L’intervento normativo è volto a consentire un sostanziale avvicinamento delle disposizioni codicistiche stabilite per le società a responsabilità limitata, almeno per alcuni aspetti, a quelle che si occupano delle società per azioni.
E’ necessario premettere che i cambiamenti degli statuti delle srl, soprattutto, dal lato della circolazione delle quote e del loro collocamento presso terzi, dovranno essere apportati attraverso l’intervento dei notai.
Le principali novità apportate dal decreto sono al centro della nuova massima elaborata dai Notai del Triveneto, visto il profondo impatto che la riforma ha avuto sul diritto societario.
La massima si occupa in primis di definire il concetto di PMI, facendo riferimento alla raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE ed in tal senso per l’inquadramento delle società destinatarie dell’intervento del nostro legislatore (D.L. 50/2017) si deve far ricorso all’articoli 1,2 e 3 della citata raccomandazione comunitaria. La PMI deve avere ad oggetto una qualsiasi attività economica e:
1) deve occupare meno di 250 persone ed avere realizzato un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di Euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di Euro;
2) deve essere un’impresa autonoma e quindi non deve appartenere a gruppi di imprese (cioè avere partecipazione pari o superiore al 25%) che complessivamente superano i valori sopra indicati.
Una srl perde la qualifica di PMI se supera i suddetti limiti dimensionali per due esercizi consecutivi.
L'accertamento delle suddette caratteristiche avviene su base annua e per le società costituite da minor tempo si avrà riguardo al bilancio dell’esercizio chiuso e approvato, mentre per quelle che sono neo costituite si dovrà procedere, ad una stima fatta dai soci in sede di costituzione oppure ad una successiva stima fatta dagli amministratori prima della chiusura del primo esercizio. .
Un’altra importante novità in ambito societario introdotta dal decreto, sulla quale i notai del Triveneto si soffermano nella loro massima è la possibilità da parte della società in forma di Srl- PMI di poter creare categorie di quote fornite di diritti diversi, determinandone liberamente il contenuto all’interno dell’atto costitutivo. Nella stessa PMI potranno dunque coesistere categorie di quote che attribuiscono diritti ai singoli soci, in base all’art. 2468, comma 3 c.c., e categorie di quote che prevedono diritti speciali.
Ulteriori deroghe ai principi generali a favore delle Srl-Pmi sono rappresentate dalla possibilità, per dette società, di:
- prevedere categorie di quote che attribuiscano diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione detenuta oppure diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari situazioni o condizioni;
- effettuare operazioni sulle proprie partecipazioni nell’ipotesi che queste operazioni siano compiute in attuazione di piani di incentivazione che contemplino l’assegnazione di quote a dipendenti, collaboratori, componenti dell’organo amministrativo e prestatori di opera e servizi anche professionali;
- utilizzare lo strumento dell’offerta al pubblico per collocare le proprie quote, anche attraverso appositi portali per la raccolta di capitali, come ad esempio il crowdfunding.
L’intervento normativo è volto a consentire un sostanziale avvicinamento delle disposizioni codicistiche stabilite per le società a responsabilità limitata, almeno per alcuni aspetti, a quelle che si occupano delle società per azioni.
E’ necessario premettere che i cambiamenti degli statuti delle srl, soprattutto, dal lato della circolazione delle quote e del loro collocamento presso terzi, dovranno essere apportati attraverso l’intervento dei notai.
Le principali novità apportate dal decreto sono al centro della nuova massima elaborata dai Notai del Triveneto, visto il profondo impatto che la riforma ha avuto sul diritto societario.
La massima si occupa in primis di definire il concetto di PMI, facendo riferimento alla raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE ed in tal senso per l’inquadramento delle società destinatarie dell’intervento del nostro legislatore (D.L. 50/2017) si deve far ricorso all’articoli 1,2 e 3 della citata raccomandazione comunitaria. La PMI deve avere ad oggetto una qualsiasi attività economica e:
1) deve occupare meno di 250 persone ed avere realizzato un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di Euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di Euro;
2) deve essere un’impresa autonoma e quindi non deve appartenere a gruppi di imprese (cioè avere partecipazione pari o superiore al 25%) che complessivamente superano i valori sopra indicati.
Una srl perde la qualifica di PMI se supera i suddetti limiti dimensionali per due esercizi consecutivi.
L'accertamento delle suddette caratteristiche avviene su base annua e per le società costituite da minor tempo si avrà riguardo al bilancio dell’esercizio chiuso e approvato, mentre per quelle che sono neo costituite si dovrà procedere, ad una stima fatta dai soci in sede di costituzione oppure ad una successiva stima fatta dagli amministratori prima della chiusura del primo esercizio. .
Un’altra importante novità in ambito societario introdotta dal decreto, sulla quale i notai del Triveneto si soffermano nella loro massima è la possibilità da parte della società in forma di Srl- PMI di poter creare categorie di quote fornite di diritti diversi, determinandone liberamente il contenuto all’interno dell’atto costitutivo. Nella stessa PMI potranno dunque coesistere categorie di quote che attribuiscono diritti ai singoli soci, in base all’art. 2468, comma 3 c.c., e categorie di quote che prevedono diritti speciali.
Ulteriori deroghe ai principi generali a favore delle Srl-Pmi sono rappresentate dalla possibilità, per dette società, di:
- prevedere categorie di quote che attribuiscano diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione detenuta oppure diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari situazioni o condizioni;
- effettuare operazioni sulle proprie partecipazioni nell’ipotesi che queste operazioni siano compiute in attuazione di piani di incentivazione che contemplino l’assegnazione di quote a dipendenti, collaboratori, componenti dell’organo amministrativo e prestatori di opera e servizi anche professionali;
- utilizzare lo strumento dell’offerta al pubblico per collocare le proprie quote, anche attraverso appositi portali per la raccolta di capitali, come ad esempio il crowdfunding.
lunedì 24 settembre 2018
La riforma del Terzo Settore
In data 2 agosto 2018, ultimo giorno utile a disposizione, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il decreto che integra e corregge il D Lgs 117/2017, già approvato in prima lettura il 21 marzo scorso, insieme al decreto correttivo del D Lgs. 112/2017 relativo alle imprese sociali, approvato invece in via definitiva durante luglio scorso.
Il decreto prevede un rafforzamento della collaborazione tra Stato e Regioni in materia di utilizzazione del fondo di finanziamento di progetti e attività di interesse generale, chiarimenti sulla contemporanea iscrizione al registro delle persone giuridiche e al RUNTS e l'indicazione del numero minimo di associati necessario per la permanenza di una APS o di una ODV.
In attesa del testo aggiornato del Codice, le principali modifiche integrative riguardano:
− termini per adeguamenti statutari: ODV, APS e Onlus, come già accaduto per le imprese sociali, potranno provvedere all'adeguamento statutario al nuovo quadro normativo entro 24 mesi (anziché 18 mesi) dalla data di entrata in vigore del Codice, e dunque entro agosto 2019;
− obbligo di revisione legale dei conti: prevista per gli ETS di grandi dimensioni. È possibile affidare la revisione ad un membro dell'organo di controllo interno iscritto nell'apposito registro;
− rendicontazione delle attività diverse: le caratteristiche che rendono queste attività secondarie e strumentali alle attività di interesse generale devono essere annotate e descritte nella relazione di missione, in calce al rendiconto per cassa o nella nota integrativa del bilancio;
− tenuta e conservazione delle scritture contabili – art. 87: le attività di interesse generale e secondarie potranno essere indicate nel bilancio, previsto dall'art. 13 del Codice e non in un apposito documento, come previsto in precedenza. Inoltre, è consentito agli enti che hanno proventi inferiori a 220.000 €, la tenuta del semplice rendiconto per cassa, anziché la tenuta delle scritture contabili previste dall'art 87;
− esenzione dall'imposta di registro sugli atti costitutivi e su quelli connessi allo svolgimento di attività statutarie per le ODV;
− regime forfetario: anche i ricavi conseguiti attraverso le raccolte fondi sono importanti ai fini di determinazione dell’importo a cui applicare il coefficiente di redditività;
− esenzione ai fini IRES per i redditi derivanti dagli immobili destinati allo svolgimento delle attività non commerciali per le ODV che entreranno a far parte del Terzo Settore come enti filantropici;
− regime agevolato per atti a titolo gratuito effettuate da privati nei confronti di trust o fondi speciali costituiti nell'ambito della Legge “Dopo di noi” (L. 112/2016): è prevista una detrazione del 35% dell'ammontare delle erogazioni ed una deduzione del 20% del reddito complessivo netto dichiarato, entro il limite dei 100.000 €.
lunedì 2 luglio 2018
Rimborso ai soci nel fallimento della S.p.a.: Cass. 16291/2018
La Cassazione ammette l’applicabilità del principio di postergazione del rimborso dei finanziamenti da parte dei soci in caso di fallimento, anche alle Società per azioni
Il principio, regolato dall’art. 2467 c.c., prescrive che il rimborso dei soci finanziatori della società a responsabilità limitata sia, alle condizioni previste dal codice civile, postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori; se il rimborso è già stato effettuato durante l’anno precedente la dichiarazione di fallimento, il socio sarà tenuto a restituire il denaro rimborsato.
La sentenza 16291 del 20 giugno scorso chiarisce l’applicabilità della norma anche ai soci delle società per azioni i quali per entità o qualità di partecipazione siano assimilabili a quelli di una srl (ristretta base societaria).
Quindi, ogni qualvolta il socio della società per azioni finanziata sia in grado di ottenere informazioni idonee ad individuare un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto si dovrà operare in conto conferimento di capitale e non in conto debito.
Il socio che sia anche amministratore si presume conosca la situazione finanziaria della società.
Questa interpretazione si colloca in una posizione intermedia tra altri due orientamenti giurisprudenziali: da un lato, l’applicabilità dell’art 2467 c.c. ad ogni tipo di società di capitali, in quanto principio di ordine generale di corretto finanziamento dell’impresa sociale, e dall’altro, l’assoluta inapplicabilità dell’articolo alle società per azioni. La Corte prende le distanze da quest’ultima interpretazione, mettendo in evidenza come la ratio del principio di postergazione risieda nella volontà di contrastare il fenomeno di sottocapitalizzazione, dovuto alla convenienza da parte dei soci di immettere capitali nella società sotto forma di finanziamento piuttosto che di capitale, riducendo la propria esposizione al rischio d’impresa.
Non c’è ragione per non considerare compatibile questa ratio anche con altre forme societarie diverse dalla S.r.l., valutando anche la prescrizione normativa dell’art 2497 quinquies c.c., il quale estende l’applicabilità del suddetto principio ai finanziamenti effettuati in favore di qualsiasi società da parte di chi esercita attività di direzione e coordinamento.
L’applicabilità del principio di postergazione alle società di capitali è dunque ammesso dovendo comunque valutare in concreto se la società considerata sia, per modeste dimensioni o per assetto societario, assimilabile ad una S.r.l.
Il principio, regolato dall’art. 2467 c.c., prescrive che il rimborso dei soci finanziatori della società a responsabilità limitata sia, alle condizioni previste dal codice civile, postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori; se il rimborso è già stato effettuato durante l’anno precedente la dichiarazione di fallimento, il socio sarà tenuto a restituire il denaro rimborsato.
La sentenza 16291 del 20 giugno scorso chiarisce l’applicabilità della norma anche ai soci delle società per azioni i quali per entità o qualità di partecipazione siano assimilabili a quelli di una srl (ristretta base societaria).
Quindi, ogni qualvolta il socio della società per azioni finanziata sia in grado di ottenere informazioni idonee ad individuare un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto si dovrà operare in conto conferimento di capitale e non in conto debito.
Il socio che sia anche amministratore si presume conosca la situazione finanziaria della società.
Questa interpretazione si colloca in una posizione intermedia tra altri due orientamenti giurisprudenziali: da un lato, l’applicabilità dell’art 2467 c.c. ad ogni tipo di società di capitali, in quanto principio di ordine generale di corretto finanziamento dell’impresa sociale, e dall’altro, l’assoluta inapplicabilità dell’articolo alle società per azioni. La Corte prende le distanze da quest’ultima interpretazione, mettendo in evidenza come la ratio del principio di postergazione risieda nella volontà di contrastare il fenomeno di sottocapitalizzazione, dovuto alla convenienza da parte dei soci di immettere capitali nella società sotto forma di finanziamento piuttosto che di capitale, riducendo la propria esposizione al rischio d’impresa.
Non c’è ragione per non considerare compatibile questa ratio anche con altre forme societarie diverse dalla S.r.l., valutando anche la prescrizione normativa dell’art 2497 quinquies c.c., il quale estende l’applicabilità del suddetto principio ai finanziamenti effettuati in favore di qualsiasi società da parte di chi esercita attività di direzione e coordinamento.
L’applicabilità del principio di postergazione alle società di capitali è dunque ammesso dovendo comunque valutare in concreto se la società considerata sia, per modeste dimensioni o per assetto societario, assimilabile ad una S.r.l.
martedì 12 giugno 2018
Accertamento e costi pluriennali: i chiarimenti della Corte di Cassazione
In ipotesi di costi che danno luogo a diritto a deduzione frazionata in più anni, a titoli di quote di ammortamento, la decadenza (del potere di accertamento) in danno dell’Agenzia deve necessariamente maturare con il decorso del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa ai periodi fiscali in cui i costi sono stati concretamente sostenuti: così la Cassazione con la sentenza n. 9993/2018 risolve il discusso problema dell’accertamento in caso di costi pluriennali.
Per loro natura, i costi ad utilità pluriennale possono essere dedotti in parte in esercizi successivi rispetto a quello di sostenimento del costo, attraverso l’imputazione di quote di ammortamento specifiche in più anni. Proprio in virtù di ciò, l’Agenzia dell’Entrate, in fase di controllo, si appella al criterio dell’autonomia dei periodi d’imposta (art. 7 DPR 917/1986), secondo cui a ciascun periodo corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria, ma il criterio non è utilizzabile in maniera assoluta ed incondizionata, ed è infatti non lo è al caso in questione.
La Cassazione ribadisce, infatti, la necessità di limitare l’azione esecutiva dell’Amministrazione finanziaria per termini eccessivamente lunghi e dilatati, evitando così controlli “infiniti” nel tempo, assicurando il rispetto dei termini di decadenza dell’accertamento come previsti dall’art. 43 del DPR 600/1973 che stabilisce la possibilità di notificare l’accertamento entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (quinto in caso di omessa presentazione), fino al periodo d’imposta 2015 e entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o settimo in caso di dichiarazione nulla o omessa, per i periodi d’imposta dal 2016 in poi.
L’Amministrazione finanziaria può dunque contestare l’imputazione di un costo pluriennale solo nell’anno di iscrizione di questo in bilanci, in questo modo le quote di ammortamento degli anni successivi saranno indeducibili.
Se, invece, l’amministrazione finanziaria non contesta l’iscrizione degli oneri pluriennali nell’anno di prima iscrizione, le quote d’ammortamento imputate negli esercizi successivi, saranno deducibili e potranno essere contestate solo in caso di errore nei criteri di calcolo o si deduzione pro-quota eccessiva rispetto alle modalità previste dal TUIR.
Per loro natura, i costi ad utilità pluriennale possono essere dedotti in parte in esercizi successivi rispetto a quello di sostenimento del costo, attraverso l’imputazione di quote di ammortamento specifiche in più anni. Proprio in virtù di ciò, l’Agenzia dell’Entrate, in fase di controllo, si appella al criterio dell’autonomia dei periodi d’imposta (art. 7 DPR 917/1986), secondo cui a ciascun periodo corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria, ma il criterio non è utilizzabile in maniera assoluta ed incondizionata, ed è infatti non lo è al caso in questione.
La Cassazione ribadisce, infatti, la necessità di limitare l’azione esecutiva dell’Amministrazione finanziaria per termini eccessivamente lunghi e dilatati, evitando così controlli “infiniti” nel tempo, assicurando il rispetto dei termini di decadenza dell’accertamento come previsti dall’art. 43 del DPR 600/1973 che stabilisce la possibilità di notificare l’accertamento entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (quinto in caso di omessa presentazione), fino al periodo d’imposta 2015 e entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o settimo in caso di dichiarazione nulla o omessa, per i periodi d’imposta dal 2016 in poi.
L’Amministrazione finanziaria può dunque contestare l’imputazione di un costo pluriennale solo nell’anno di iscrizione di questo in bilanci, in questo modo le quote di ammortamento degli anni successivi saranno indeducibili.
Se, invece, l’amministrazione finanziaria non contesta l’iscrizione degli oneri pluriennali nell’anno di prima iscrizione, le quote d’ammortamento imputate negli esercizi successivi, saranno deducibili e potranno essere contestate solo in caso di errore nei criteri di calcolo o si deduzione pro-quota eccessiva rispetto alle modalità previste dal TUIR.
giovedì 31 maggio 2018
Procedure sanzionatorie per i crediti inesistenti che derivano da infedele dichiarazione
Il credito inesistente derivante da operazioni che hanno determinato l’irrogazione di sanzioni per infedele dichiarazione ed illegittima detrazione - con recupero del relativo importo – non possono dar luogo ad ulteriori sanzioni in caso di successivo utilizzo del credito in compensazione; a precisarlo è l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 36/E dell’8 maggio 2018.
La fattispecie è appunto relativa alla compensazione di crediti inesistenti che nascono in seguito ad operazioni già oggetto di contestazione per infedeltà e per le quali il contribuente istante si chiedeva se questa situazione fosse ulteriormente contestabile da parte dell’Agenzia delle Entrate.
L’AE precisa preliminarmente l’evoluzione legislativa e in particolare che con il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, è stata introdotta, all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, una definizione normativa di credito inesistente - da cui, a contrario, far derivare la definizione di credito non spettante - e uno specifico regime sanzionatorio nell’ambito della disposizione dedicata agli omessi versamenti.
Quindi, attualmente si definisce inesistente il credito per il quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui violazione non è rinvenibile in sede di controlli automatizzati ex artt. 36bis e 36ter del DPR 600/73 e ex art. 54 del DPR 633/72.
Il fatto che la norma fa riferimento, oltre che all’evento generatore del credito, alla circostanza che l’uso del credito non possa essere rintracciato con le normali operazioni automatiche di riscontro delle dichiarazioni, è dovuta all’intenzione di evitare di sanzionare in modo più punitivo una condotta meno lesiva degli interessi erariali. In sostanza, si vuole colpire più severamente il comportamento fraudolento di chi si beneficia di un credito che nasce da particolari artifici contabili e documentali, artifici che possono essere messi in luce solo durante operazioni di verifica e accertamento.
Riguardo alle modalità di recupero di detti crediti l’AE precisa che la prassi non può essere altra che quella di notificare un apposito atto di recupero.
Diverso è il caso, invece, in cui il credito viene esposto in dichiarazione e successivamente utilizzato si dovrà contestare, negli ordinari termini, la sanzione per infedele dichiarazione; sanzione che il D.Lgs 2015 numero 158 ha appesantito qualora emergano evidenze che siano state utilizzate false fatture o altre condotte simulatorie o fraudolente; questa sanzione assorbe sia quella per il mancato versamento che quella per l’indebita compensazione.
L’AE conclude sostenendo che, viste le disposizioni vigenti, non si debba procedere a sanzionare l’utilizzo del credito inesistente in compensazione, qualora oltre ad avere effettuato il recupero delle somme sia stata irrogata la sanzione per infedele dichiarazione ed illegittima detrazione.
Diversamente si finirebbe col punire la stessa violazione prima con la sanzione per le fatture inesistenti o le altre condotte artificiose e poi con la contestazione della non legittima compensazione. Fermo sempre il recupero delle somme dovute.
La fattispecie è appunto relativa alla compensazione di crediti inesistenti che nascono in seguito ad operazioni già oggetto di contestazione per infedeltà e per le quali il contribuente istante si chiedeva se questa situazione fosse ulteriormente contestabile da parte dell’Agenzia delle Entrate.
L’AE precisa preliminarmente l’evoluzione legislativa e in particolare che con il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, è stata introdotta, all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, una definizione normativa di credito inesistente - da cui, a contrario, far derivare la definizione di credito non spettante - e uno specifico regime sanzionatorio nell’ambito della disposizione dedicata agli omessi versamenti.
Quindi, attualmente si definisce inesistente il credito per il quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui violazione non è rinvenibile in sede di controlli automatizzati ex artt. 36bis e 36ter del DPR 600/73 e ex art. 54 del DPR 633/72.
Il fatto che la norma fa riferimento, oltre che all’evento generatore del credito, alla circostanza che l’uso del credito non possa essere rintracciato con le normali operazioni automatiche di riscontro delle dichiarazioni, è dovuta all’intenzione di evitare di sanzionare in modo più punitivo una condotta meno lesiva degli interessi erariali. In sostanza, si vuole colpire più severamente il comportamento fraudolento di chi si beneficia di un credito che nasce da particolari artifici contabili e documentali, artifici che possono essere messi in luce solo durante operazioni di verifica e accertamento.
Riguardo alle modalità di recupero di detti crediti l’AE precisa che la prassi non può essere altra che quella di notificare un apposito atto di recupero.
Diverso è il caso, invece, in cui il credito viene esposto in dichiarazione e successivamente utilizzato si dovrà contestare, negli ordinari termini, la sanzione per infedele dichiarazione; sanzione che il D.Lgs 2015 numero 158 ha appesantito qualora emergano evidenze che siano state utilizzate false fatture o altre condotte simulatorie o fraudolente; questa sanzione assorbe sia quella per il mancato versamento che quella per l’indebita compensazione.
L’AE conclude sostenendo che, viste le disposizioni vigenti, non si debba procedere a sanzionare l’utilizzo del credito inesistente in compensazione, qualora oltre ad avere effettuato il recupero delle somme sia stata irrogata la sanzione per infedele dichiarazione ed illegittima detrazione.
Diversamente si finirebbe col punire la stessa violazione prima con la sanzione per le fatture inesistenti o le altre condotte artificiose e poi con la contestazione della non legittima compensazione. Fermo sempre il recupero delle somme dovute.
lunedì 21 maggio 2018
Circa la divisibilità delle quote di srl
Poiché la quota di una srl è divisibile, si può ridurre il sequestro conservativo di una quota se ritenuto eccessivo; così ha deciso il Tribunale di Milano, con l’ordinanza del 23 settembre 2017, riconosce la possibilità del frazionamento della quota.
Con il d.lgs. 6 del 2003 (Riforma del diritto societario), vengono meno alcune norme considerate importanti per permettere il frazionamento delle quote, gli artt 2474 e 2482 c.c. i quali prevedevano la divisibilità della quota nel caso di successione a causa di morte o di alienazione, purchè le singole quote risultanti dal frazionamento non fossero inferiori a mille lire o, in caso di importi superiori rispetto al minimo, fossero un multiplo del suddetto importo.
In realtà, la scomparsa di questi articoli non solo non ha limitato o escluso la possibilità di divisione delle singole quote, ma anzi ha eliminato un ulteriore ostacolo legato al frazionamento, rappresentato dal limite del valore di riferimento della singola quota risultante dalla divisione.
Esempi concreti di come le regole che permettono il frazionamento contenute nei suddetti articoli siano ancora in parte rispettate anche dopo la riforma, sono gli articoli 2466 e 2473, comma 4, con i quali si riconosce, in caso di mancata esecuzione dei conferimenti o recesso da parte di un socio, l’acquisto della quota di quest’ultimo da parte degli altri soci in proporzione alla loro partecipazione.
Il riconoscimento della divisibilità della quota non sempre implica però la divisione automatica della stessa. Secondo gli articoli 2468 e 2469 c.c., la divisione della quota avviene in sede di trasferimento della stessa per atto tra vivi o per successione; in questo secondo caso, in presenza di più eredi, ne consegue il possedimento in comunione della quota e si stabilisce che i diritti dei coeredi siano esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106 del codice civile. Nel caso in cui i coeredi volessero scindere questo vincolo di comunione, è necessario predisporre un atto di divisione, il quale risulterà efficace nei confronti della società e iscrivibile nel Registro delle Imprese, solo se redatto in forma di atto notarile, e non semplicemente come dichiarazione sostitutiva.
Risulta essere più particolare e delicata la situazione di divisibilità della quota di un socio al quale siano stati attribuiti determinati diritti in sede di redazione dell’atto costitutivo (come previsto dal comma 3 del già citato art 2468 c.c.). Anche in questo caso, la dottrina ritiene che il trasferimento e la divisibilità della quota siano legittimi, in quanto i diritti non sono associati alla quota e dunque permangono in capo al socio al quale sono stati attribuiti anche in seguito al frazionamento della propria partecipazione.
L’assenza di norme puntuali e specifiche circa la divisibilità delle quote di s.r.l., considerate indipendentemente dalla propria natura giuridica, non ne impedisce l’attuazione; in caso contrario, ci troveremmo di fronte ad una situazione considerata irragionevole e al di fuori di ogni logica accettata dalla realtà economica.
Con il d.lgs. 6 del 2003 (Riforma del diritto societario), vengono meno alcune norme considerate importanti per permettere il frazionamento delle quote, gli artt 2474 e 2482 c.c. i quali prevedevano la divisibilità della quota nel caso di successione a causa di morte o di alienazione, purchè le singole quote risultanti dal frazionamento non fossero inferiori a mille lire o, in caso di importi superiori rispetto al minimo, fossero un multiplo del suddetto importo.
In realtà, la scomparsa di questi articoli non solo non ha limitato o escluso la possibilità di divisione delle singole quote, ma anzi ha eliminato un ulteriore ostacolo legato al frazionamento, rappresentato dal limite del valore di riferimento della singola quota risultante dalla divisione.
Esempi concreti di come le regole che permettono il frazionamento contenute nei suddetti articoli siano ancora in parte rispettate anche dopo la riforma, sono gli articoli 2466 e 2473, comma 4, con i quali si riconosce, in caso di mancata esecuzione dei conferimenti o recesso da parte di un socio, l’acquisto della quota di quest’ultimo da parte degli altri soci in proporzione alla loro partecipazione.
Il riconoscimento della divisibilità della quota non sempre implica però la divisione automatica della stessa. Secondo gli articoli 2468 e 2469 c.c., la divisione della quota avviene in sede di trasferimento della stessa per atto tra vivi o per successione; in questo secondo caso, in presenza di più eredi, ne consegue il possedimento in comunione della quota e si stabilisce che i diritti dei coeredi siano esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106 del codice civile. Nel caso in cui i coeredi volessero scindere questo vincolo di comunione, è necessario predisporre un atto di divisione, il quale risulterà efficace nei confronti della società e iscrivibile nel Registro delle Imprese, solo se redatto in forma di atto notarile, e non semplicemente come dichiarazione sostitutiva.
Risulta essere più particolare e delicata la situazione di divisibilità della quota di un socio al quale siano stati attribuiti determinati diritti in sede di redazione dell’atto costitutivo (come previsto dal comma 3 del già citato art 2468 c.c.). Anche in questo caso, la dottrina ritiene che il trasferimento e la divisibilità della quota siano legittimi, in quanto i diritti non sono associati alla quota e dunque permangono in capo al socio al quale sono stati attribuiti anche in seguito al frazionamento della propria partecipazione.
L’assenza di norme puntuali e specifiche circa la divisibilità delle quote di s.r.l., considerate indipendentemente dalla propria natura giuridica, non ne impedisce l’attuazione; in caso contrario, ci troveremmo di fronte ad una situazione considerata irragionevole e al di fuori di ogni logica accettata dalla realtà economica.
giovedì 5 aprile 2018
EQUITY CROWDFUNDING E PMI: APERTURA ALLE SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA
La Consob con due recenti delibere ha esteso anche alle PMI in forma di Srl, la possibilità di ricorrere al crowdfunding di capitale attraverso portali su internet.
L’Italia è stato il primo paese al mondo a dotarsi di una regolamentazione normativa sul crowdfunding con il D.L. n. 179 del 2012 (c.d. Decreto Crescita bis) e con il regolamento Consob con la delibera n. 18592 del 2013.
In origine, questo tipo di finanziamento è stato pensato per le startup innovative e poi esteso alle PMI-innovative e infine a tutte le PMI organizzate in forma di Spa con la legge 232 del 2016 (c.d. Legge di bilancio 2017). Ora, grazie all’art.57 della Legge 50 del 2017, anche le PMI in forma di Srl possono collocare presso il pubblico le proprie quote di capitale, superando il divieto posto dall’art. 2468 del c.c.
Le ulteriori novità per le società a responsabilità limitata introdotte con questo articolo sono:
- la possibilità di creare categorie di quote di partecipazione al capitale sociale fornite di diritti diversi, vale a dire attribuire diritti sociali in misura non proporzionale alla entità della quota di partecipazione, o ancora attribuire ai titolari delle quote particolari diritti amministrativi;
- l’eliminazione del divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni (art. 2474 c.c.) se le stesse sono compiute in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo prestatori di opera e servizi anche professionali.
A seguito del recepimento della Direttiva 2014/65/UE, attuata con il D.Lgs. 129 del 2017, la Consob apporta nuove modifiche all’originario regolamento emanato (n. 18592/2013), attraverso le delibere n. 20204 del 29 novembre 2017 e n. 20264 del 17 gennaio 2018. Le principali novità introdotte per le società che intendano ricorrere a questa forma di finanziamento sono:
- l’obbligo di inserire, nel proprio statuto o atto costitutivo, il diritto di recesso o di co-vendita delle proprie partecipazioni in favore degli investitori diversi dagli investitori professionali e la comunicazione alla società, nonché la pubblicazione dei patti parasociali nel sito internet della società;
- la modifica del comma 2 dell’art 24 (“Condizioni relative alle offerte sul portale”), attraverso l’introduzione del comma 2-ter, che riduce la soglia percentuale (dal 5% al 3%) di obbligo di sottoscrizione degli strumenti finanziari da parte di investitori qualificati (investitori professionali, fondazioni bancarie, incubatori di start-up innovative o investitori a supporto di PMI aventi un valore del portafoglio di strumenti finanziari);
- l’inserimento nell’Allegato 3 (“Informazione sulla singola offerta”) degli artt. 6 e 7, i quali prevedono l’inserimento nel documento d’offerta della descrizione dell’organo di controllo e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, e dell’art. 8 , il quale prevede l’inserimento delle informazioni sui consulenti legali e finanziari di cui si è avvalso l’offerente;
- l’introduzione dell’art. 20-bis (“Procedure per la segnalazione delle violazioni”) per gestire le procedure di segnalazione delle violazioni (c.d. whistleblowing), precisandone solo i requisiti minimi e lasciando agli operatori piena autonomia circa soluzioni tecniche ed organizzative.
Grazie a queste novità e alla continua revisione della normativa relativa all’equity crowdfunding le imprese, soprattutto le PMI, avranno la possibilità di aprirsi ad un sistema di finanziamento innovativo e basato solo sulla qualità del business plan della propria azienda riducendo il ricorso all’indebitamento bancario.
L’Italia è stato il primo paese al mondo a dotarsi di una regolamentazione normativa sul crowdfunding con il D.L. n. 179 del 2012 (c.d. Decreto Crescita bis) e con il regolamento Consob con la delibera n. 18592 del 2013.
In origine, questo tipo di finanziamento è stato pensato per le startup innovative e poi esteso alle PMI-innovative e infine a tutte le PMI organizzate in forma di Spa con la legge 232 del 2016 (c.d. Legge di bilancio 2017). Ora, grazie all’art.57 della Legge 50 del 2017, anche le PMI in forma di Srl possono collocare presso il pubblico le proprie quote di capitale, superando il divieto posto dall’art. 2468 del c.c.
Le ulteriori novità per le società a responsabilità limitata introdotte con questo articolo sono:
- la possibilità di creare categorie di quote di partecipazione al capitale sociale fornite di diritti diversi, vale a dire attribuire diritti sociali in misura non proporzionale alla entità della quota di partecipazione, o ancora attribuire ai titolari delle quote particolari diritti amministrativi;
- l’eliminazione del divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni (art. 2474 c.c.) se le stesse sono compiute in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo prestatori di opera e servizi anche professionali.
A seguito del recepimento della Direttiva 2014/65/UE, attuata con il D.Lgs. 129 del 2017, la Consob apporta nuove modifiche all’originario regolamento emanato (n. 18592/2013), attraverso le delibere n. 20204 del 29 novembre 2017 e n. 20264 del 17 gennaio 2018. Le principali novità introdotte per le società che intendano ricorrere a questa forma di finanziamento sono:
- l’obbligo di inserire, nel proprio statuto o atto costitutivo, il diritto di recesso o di co-vendita delle proprie partecipazioni in favore degli investitori diversi dagli investitori professionali e la comunicazione alla società, nonché la pubblicazione dei patti parasociali nel sito internet della società;
- la modifica del comma 2 dell’art 24 (“Condizioni relative alle offerte sul portale”), attraverso l’introduzione del comma 2-ter, che riduce la soglia percentuale (dal 5% al 3%) di obbligo di sottoscrizione degli strumenti finanziari da parte di investitori qualificati (investitori professionali, fondazioni bancarie, incubatori di start-up innovative o investitori a supporto di PMI aventi un valore del portafoglio di strumenti finanziari);
- l’inserimento nell’Allegato 3 (“Informazione sulla singola offerta”) degli artt. 6 e 7, i quali prevedono l’inserimento nel documento d’offerta della descrizione dell’organo di controllo e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, e dell’art. 8 , il quale prevede l’inserimento delle informazioni sui consulenti legali e finanziari di cui si è avvalso l’offerente;
- l’introduzione dell’art. 20-bis (“Procedure per la segnalazione delle violazioni”) per gestire le procedure di segnalazione delle violazioni (c.d. whistleblowing), precisandone solo i requisiti minimi e lasciando agli operatori piena autonomia circa soluzioni tecniche ed organizzative.
Grazie a queste novità e alla continua revisione della normativa relativa all’equity crowdfunding le imprese, soprattutto le PMI, avranno la possibilità di aprirsi ad un sistema di finanziamento innovativo e basato solo sulla qualità del business plan della propria azienda riducendo il ricorso all’indebitamento bancario.
mercoledì 7 marzo 2018
Agevolazione ACE in presenza di operazioni straordinarie
Introdotto con il d.l. n. 201 del 6 dicembre 2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214), l’Ace acronimo di aiuto alla crescita economica, è una misura agevolativa che consente di dedurre dal reddito complessivo netto il rendimento nozionale della variazione in aumento del capitale proprio ad un tempo dato, rispetto a quello risultante alla chiusura del bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010.
I soggetti beneficiari di questa agevolazione sono:
- Società di capitali;
- Società cooperative e di mutua assicurazione;
- Enti pubblici e privati diversi dalle società;
- Persone fisiche;
- Società in nome collettivo;
- Società in accomandita semplice.
Il calcolo del rendimento nozionale necessario per fruire della deduzione prende in considerazione il capitale proprio risultante alla chiusura del bilancio in corso al 31 dicembre 2010 che è pari all’ammontare del patrimonio netto al netto dell’utile di tale esercizio. Per la quantificazione della variazione in aumento del capitale proprio, bisogna determinare la somma algebrica di due elementi:
- Elementi positivi: conferimenti in denaro versati dai soci o partecipanti, oltre a quelli versati per acquisire la qualificazione di socio o partecipante e gli utili accantonati a riserva;
- Elementi negativi: riduzioni del patrimonio netto con attribuzione a soci e partecipanti.
Se il rendimento così ottenuto eccede il reddito complessivo netto del contribuente, l’eccedenza può essere riportata in diminuzione del reddito complessivo netto dei successivi periodi d’imposta oppure può essere utilizzato in compensazione dell’IRAP sotto forma di credito d’imposta, da poter ripartire in cinque quote annuali di pari importo fino a concorrenza dell’IRAP del periodo.
In seguito all’emanazione del D.M. 3 agosto 2017 da parte del MEF, si sono definite le nuove modalità attuative dell’agevolazione ed inoltre sono rafforzate le norme antielusive, le quali sono considerate applicative dall’esercizio 2018 e dunque dalle dichiarazioni da presentare nel 2019.
In relazione alle circostanze in cui risulta legittima la fruizione del beneficio, pur apparentemente considerate elusive, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in risposta ad una istanza di interpello relativa ad una operazione straordinaria.
In particolare nell’interpello l’AE si pronuncia sulla legittimità dell’agevolazione in seguito ad una operazione di acquisizione di una società target, da parte di un gruppo estero, realizzata utilizzando una società veicolo italiana appositamente costituita e capitalizzata con i mezzi finanziari necessari all’acquisizione.
L’Amministrazione finanziaria osserva come il vantaggio fiscale consistente nella deduzione del rendimento nozionale, derivante dall’operazione così strutturata, risulta legittimo, anche in caso di successiva fusione della società target nella società veicolo, poiché proprio per effetto dell’immissione delle risorse finanziarie nella società veicolo e della successiva fusione si è determinata un’effettiva capitalizzazione della società risultante, che è conforme con l’obiettivo di incentivazione alla capitalizzazione perseguito dal legislatore.
L’assenza di profili elusivi deve ritenersi confermata indipendentemente dalle motivazioni economiche che hanno condotto l’acquirente estero a perfezionare l’investimento attraverso una operazione così strutturata piuttosto che mediante un acquisto diretto; dunque l’operazione non determinando alcun aggiramento fiscale, integrando un’ipotesi di legittimo risparmio di imposta, conforme alle norme vigenti.
I soggetti beneficiari di questa agevolazione sono:
- Società di capitali;
- Società cooperative e di mutua assicurazione;
- Enti pubblici e privati diversi dalle società;
- Persone fisiche;
- Società in nome collettivo;
- Società in accomandita semplice.
Il calcolo del rendimento nozionale necessario per fruire della deduzione prende in considerazione il capitale proprio risultante alla chiusura del bilancio in corso al 31 dicembre 2010 che è pari all’ammontare del patrimonio netto al netto dell’utile di tale esercizio. Per la quantificazione della variazione in aumento del capitale proprio, bisogna determinare la somma algebrica di due elementi:
- Elementi positivi: conferimenti in denaro versati dai soci o partecipanti, oltre a quelli versati per acquisire la qualificazione di socio o partecipante e gli utili accantonati a riserva;
- Elementi negativi: riduzioni del patrimonio netto con attribuzione a soci e partecipanti.
Se il rendimento così ottenuto eccede il reddito complessivo netto del contribuente, l’eccedenza può essere riportata in diminuzione del reddito complessivo netto dei successivi periodi d’imposta oppure può essere utilizzato in compensazione dell’IRAP sotto forma di credito d’imposta, da poter ripartire in cinque quote annuali di pari importo fino a concorrenza dell’IRAP del periodo.
In seguito all’emanazione del D.M. 3 agosto 2017 da parte del MEF, si sono definite le nuove modalità attuative dell’agevolazione ed inoltre sono rafforzate le norme antielusive, le quali sono considerate applicative dall’esercizio 2018 e dunque dalle dichiarazioni da presentare nel 2019.
In relazione alle circostanze in cui risulta legittima la fruizione del beneficio, pur apparentemente considerate elusive, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in risposta ad una istanza di interpello relativa ad una operazione straordinaria.
In particolare nell’interpello l’AE si pronuncia sulla legittimità dell’agevolazione in seguito ad una operazione di acquisizione di una società target, da parte di un gruppo estero, realizzata utilizzando una società veicolo italiana appositamente costituita e capitalizzata con i mezzi finanziari necessari all’acquisizione.
L’Amministrazione finanziaria osserva come il vantaggio fiscale consistente nella deduzione del rendimento nozionale, derivante dall’operazione così strutturata, risulta legittimo, anche in caso di successiva fusione della società target nella società veicolo, poiché proprio per effetto dell’immissione delle risorse finanziarie nella società veicolo e della successiva fusione si è determinata un’effettiva capitalizzazione della società risultante, che è conforme con l’obiettivo di incentivazione alla capitalizzazione perseguito dal legislatore.
L’assenza di profili elusivi deve ritenersi confermata indipendentemente dalle motivazioni economiche che hanno condotto l’acquirente estero a perfezionare l’investimento attraverso una operazione così strutturata piuttosto che mediante un acquisto diretto; dunque l’operazione non determinando alcun aggiramento fiscale, integrando un’ipotesi di legittimo risparmio di imposta, conforme alle norme vigenti.
lunedì 26 febbraio 2018
Regione Lazio: agevolazioni per l'internazionalizzazione delle imprese
La Regione Lazio ha previsto un intervento a favore delle imprese che vogliono intraprendere attività finalizzate all'internazionalizzazione; di seguito riportiamo le informazioni che la Regione stessa ha fornito e che spiegano l'operatività del bando in questione.
Il Bando "Contributi per il sostegno dei processi di internazionalizzazione delle PMI del Lazio 2018" è stato aperto dalle ore 12.00 di martedì 13 febbraio 2018 e sarà possibile inoltrare, esclusivamente attraverso la piattaforma GeCoWEB, le richieste per accedere alle agevolazioni, fino al 24/5/2018.
Il bando, nato per rafforzare la competitività del sistema produttivo laziale, ha una dotazione di 2,2 milioni di euro a valere sul POR FESR Lazio 2014-2020 ed è finalizzato alla concessione di contributi a fondo perduto a imprese, in forma singola o associata, per progetti di internazionalizzazione, anche di piccola entità (come ad esempio la partecipazione a fiere, azioni di promozione), per la copertura di costi per brevetti o per la tutela di marchi, per ottenere i servizi di un temporary export manager, o ancora, e questa è una novità di questo bando, per inviare all’estero il primo ordine ricevuto (il contributo può sostenere il pagamento delle spese di spedizione e quelle di sdoganamento merci).
La dotazione dell’Avviso è di 2.200.000,00 euro. Tale dotazione potrà essere aumentata con eventuali economie derivanti dagli avvisi già pubblicati a valere sull’Attività 3.4.1 del POR FESR 2014-2020. Il 50% della dotazione finanziaria è riservata ai progetti presentati da Aggregazioni Temporanee.
L’agevolazione è un contributo a fondo perduto commisurato alle spese ammissibili, in coerenza e nel rispetto di quanto indicato nell’Avviso ed è concessa ai sensi del RGE o del “de minimis”, in relazione alle diverse voci di spesa e, ove possibili entrambe le opzioni, a scelta del beneficiario.
L’intensità di aiuto è pari al 70% del totale delle spese ammissibili in regime di “de minimis” e al 50% in caso di applicazione del RGE.
I destinatari si dividono in:
a) PMI in forma singola già costituite al momento della presentazione della domanda (inclusi i liberi professionisti e le Aggregazioni Stabili);
b) Aggregazioni Temporanee composte da almeno 2 PMI indipendenti e non più di 6 PMI, già costituite al momento della domanda ovvero da costituire subordinatamente alla concessione della sovvenzione.
I beneficiari devono avere, al più tardi al momento della richiesta della prima erogazione, una sede operativa nel territorio regionale del Lazio dove si svolge l’attività produttiva o di erogazione di servizi oggetto del progetto di internazionalizzazione.
Sono ammissibili progetti di internazionalizzazione e di promozione dell’export delle PMI finalizzati all’apertura e al consolidamento nei mercati esteri, che prevedono la realizzazione di una o più delle seguenti attività:
a) partecipazione a manifestazioni fieristiche, a saloni internazionali, a rilevanti eventi commerciali all’estero;
b) progettazione e realizzazione di eventi promozionali, tramite l’acquisizione di servizi specialistici da qualificati fornitori indipendenti, volti alla valorizzazione della singola impresa o, in caso di Aggregazioni, di filiere e reti di imprese; realizzazione temporanea all’estero, per un periodo massimo di 12 mesi, di showroom e centri espositivi;
c) attività e relative spese connesse alla realizzazione della prima vendita in un Paese estero;
d) acquisizione di altri servizi specialistici per l’internazionalizzazione, quali piani di penetrazione commerciale in un determinato Paese e settore, Temporary Export Manager e altre consulenze specialistiche ad integrazione di funzioni aziendali e funzionali al progetto di internazionalizzazione;
e) attività volte a migliorare la qualità della struttura aziendale o del sistema produttivo ai fini dell’esportazione o per finalizzare accordi con clienti o partner esteri, ad acquisire le necessarie certificazioni attinenti standard tecnici, qualità, tipicità dei prodotti e sistemi ambientali, a proteggere nei Paesi target marchi o altri diritti di privativa industriale, a tradurre strumenti commerciali o tecnici.
I progetti possono essere completati da attività accessorie quali azioni di promozione, comunicazione e marketing e prevedere ulteriori voci di spesa, in conformità a quanto previsto nell’Avviso. L’Avviso, inoltre, indicherà eventuali limiti sulle singole tipologie di spesa.
I progetti presentati da PMI in forma singola devono essere di importo complessivo non inferiore a 5.000 euro, quelli presentati da Aggregazioni Temporanee non inferiore a 20.000 euro.
Le spese ammissibili riconosciute ai fini del calcolo del contributo, non possono comunque superare l’ammontare di 30.000 euro per le PMI in forma singola e 100.000 euro per le Aggregazioni Temporanee, anche a fronte di progetti di importo complessivo superiore.
I progetti devono essere realizzati entro 12 mesi dalla Data di Concessione dell’agevolazione e rendicontare Spese Effettivamente Sostenute in misura non inferiore al 70% delle Spese Ammesse.
Il contributo sarà erogato secondo le modalità di seguito indicate:
a) una eventuale anticipazione, da richiedersi entro e non oltre 3 mesi dalla data di concessione, nella misura minima del 20% e massima del 40% del contributo concesso, garantita da fidejussione;
b) una erogazione a saldo, a fronte di rendicontazione delle spese effettivamente sostenute per la realizzazione dell’intero Progetto ammesso, da presentarsi entro e non oltre 13 mesi dalla data di concessione.
La presentazione delle richieste avviene con procedura “a sportello”, in due fasi:
- Prima fasa: Compilazione del formulario con la richiesta di accesso all’agevolazione esclusivamente per via telematica tramite la piattaforma GeCoWEB a partire dalle ore 12:00 del 13 febbraio 2018. La finalizzazione del formulario tramite portale GeCoWEB non è sufficiente ai fini della presentazione della richiesta di contributo, che dovrà essere formalizzata inviando via PEC la Domanda generata automaticamente dal sistema GeCoWEB, previa apposizione di firma digitale.
- Seconda fase: Invio tramite PEC della Domanda generata dal sistema GeCoWEB a partire dalle ore 12:00 del 1° marzo 2018 e fino alle ore 12:00 del 24 maggio 2018.
L’assegnazione delle risorse sarà effettuata secondo l’ordine cronologico di invio della PEC di trasmissione della Domanda.
Il Bando "Contributi per il sostegno dei processi di internazionalizzazione delle PMI del Lazio 2018" è stato aperto dalle ore 12.00 di martedì 13 febbraio 2018 e sarà possibile inoltrare, esclusivamente attraverso la piattaforma GeCoWEB, le richieste per accedere alle agevolazioni, fino al 24/5/2018.
Il bando, nato per rafforzare la competitività del sistema produttivo laziale, ha una dotazione di 2,2 milioni di euro a valere sul POR FESR Lazio 2014-2020 ed è finalizzato alla concessione di contributi a fondo perduto a imprese, in forma singola o associata, per progetti di internazionalizzazione, anche di piccola entità (come ad esempio la partecipazione a fiere, azioni di promozione), per la copertura di costi per brevetti o per la tutela di marchi, per ottenere i servizi di un temporary export manager, o ancora, e questa è una novità di questo bando, per inviare all’estero il primo ordine ricevuto (il contributo può sostenere il pagamento delle spese di spedizione e quelle di sdoganamento merci).
La dotazione dell’Avviso è di 2.200.000,00 euro. Tale dotazione potrà essere aumentata con eventuali economie derivanti dagli avvisi già pubblicati a valere sull’Attività 3.4.1 del POR FESR 2014-2020. Il 50% della dotazione finanziaria è riservata ai progetti presentati da Aggregazioni Temporanee.
L’agevolazione è un contributo a fondo perduto commisurato alle spese ammissibili, in coerenza e nel rispetto di quanto indicato nell’Avviso ed è concessa ai sensi del RGE o del “de minimis”, in relazione alle diverse voci di spesa e, ove possibili entrambe le opzioni, a scelta del beneficiario.
L’intensità di aiuto è pari al 70% del totale delle spese ammissibili in regime di “de minimis” e al 50% in caso di applicazione del RGE.
I destinatari si dividono in:
a) PMI in forma singola già costituite al momento della presentazione della domanda (inclusi i liberi professionisti e le Aggregazioni Stabili);
b) Aggregazioni Temporanee composte da almeno 2 PMI indipendenti e non più di 6 PMI, già costituite al momento della domanda ovvero da costituire subordinatamente alla concessione della sovvenzione.
I beneficiari devono avere, al più tardi al momento della richiesta della prima erogazione, una sede operativa nel territorio regionale del Lazio dove si svolge l’attività produttiva o di erogazione di servizi oggetto del progetto di internazionalizzazione.
Sono ammissibili progetti di internazionalizzazione e di promozione dell’export delle PMI finalizzati all’apertura e al consolidamento nei mercati esteri, che prevedono la realizzazione di una o più delle seguenti attività:
a) partecipazione a manifestazioni fieristiche, a saloni internazionali, a rilevanti eventi commerciali all’estero;
b) progettazione e realizzazione di eventi promozionali, tramite l’acquisizione di servizi specialistici da qualificati fornitori indipendenti, volti alla valorizzazione della singola impresa o, in caso di Aggregazioni, di filiere e reti di imprese; realizzazione temporanea all’estero, per un periodo massimo di 12 mesi, di showroom e centri espositivi;
c) attività e relative spese connesse alla realizzazione della prima vendita in un Paese estero;
d) acquisizione di altri servizi specialistici per l’internazionalizzazione, quali piani di penetrazione commerciale in un determinato Paese e settore, Temporary Export Manager e altre consulenze specialistiche ad integrazione di funzioni aziendali e funzionali al progetto di internazionalizzazione;
e) attività volte a migliorare la qualità della struttura aziendale o del sistema produttivo ai fini dell’esportazione o per finalizzare accordi con clienti o partner esteri, ad acquisire le necessarie certificazioni attinenti standard tecnici, qualità, tipicità dei prodotti e sistemi ambientali, a proteggere nei Paesi target marchi o altri diritti di privativa industriale, a tradurre strumenti commerciali o tecnici.
I progetti possono essere completati da attività accessorie quali azioni di promozione, comunicazione e marketing e prevedere ulteriori voci di spesa, in conformità a quanto previsto nell’Avviso. L’Avviso, inoltre, indicherà eventuali limiti sulle singole tipologie di spesa.
I progetti presentati da PMI in forma singola devono essere di importo complessivo non inferiore a 5.000 euro, quelli presentati da Aggregazioni Temporanee non inferiore a 20.000 euro.
Le spese ammissibili riconosciute ai fini del calcolo del contributo, non possono comunque superare l’ammontare di 30.000 euro per le PMI in forma singola e 100.000 euro per le Aggregazioni Temporanee, anche a fronte di progetti di importo complessivo superiore.
I progetti devono essere realizzati entro 12 mesi dalla Data di Concessione dell’agevolazione e rendicontare Spese Effettivamente Sostenute in misura non inferiore al 70% delle Spese Ammesse.
Il contributo sarà erogato secondo le modalità di seguito indicate:
a) una eventuale anticipazione, da richiedersi entro e non oltre 3 mesi dalla data di concessione, nella misura minima del 20% e massima del 40% del contributo concesso, garantita da fidejussione;
b) una erogazione a saldo, a fronte di rendicontazione delle spese effettivamente sostenute per la realizzazione dell’intero Progetto ammesso, da presentarsi entro e non oltre 13 mesi dalla data di concessione.
La presentazione delle richieste avviene con procedura “a sportello”, in due fasi:
- Prima fasa: Compilazione del formulario con la richiesta di accesso all’agevolazione esclusivamente per via telematica tramite la piattaforma GeCoWEB a partire dalle ore 12:00 del 13 febbraio 2018. La finalizzazione del formulario tramite portale GeCoWEB non è sufficiente ai fini della presentazione della richiesta di contributo, che dovrà essere formalizzata inviando via PEC la Domanda generata automaticamente dal sistema GeCoWEB, previa apposizione di firma digitale.
- Seconda fase: Invio tramite PEC della Domanda generata dal sistema GeCoWEB a partire dalle ore 12:00 del 1° marzo 2018 e fino alle ore 12:00 del 24 maggio 2018.
L’assegnazione delle risorse sarà effettuata secondo l’ordine cronologico di invio della PEC di trasmissione della Domanda.
giovedì 1 febbraio 2018
Industria 4.0: il credito di imposta per le attività di formazione
Con la Legge di Bilancio 2018 (legge n. 205/2017) sono stati stanziati 250 milioni di € per l’anno 2019 al fine di sostenere le imprese che investono nella formazione dei propri dipendenti nel settore delle tecnologie previste dal Piano nazionale impresa 4.0 e inoltre, la legge, ai commi da 46 a 56, riconosce un credito d’imposta per le spese relative a questo tipo di formazione. L’incentivo ha durata temporanea e si applica esclusivamente per le spese sostenute nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017.
I soggetti beneficiari di questo incentivo sono tutte le imprese, indipendentemente dalla natura giuridica, dal settore economico di appartenenza, dalle dimensioni, dal regime contabile adottato e dalle modalità di determinazione del reddito ai fini fiscali. Invece, non possono beneficiare dell’agevolazione tutti i soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo.
La misura dell’agevolazione è pari al 40% del costo aziendale del personale dipendente per il periodo in cui è occupato nelle attività formative agevolabili (da notare che la base di calcolo non è il costo del corso di formazione frequentato) e sarà riconosciuto fino a un importo massimo annuale di 300.000 € per ciascun beneficiario.
La tipologia di corsi di formazione a cui fa riferimento la Legge di Bilancio per fruire dell’agevolazione è relativa ad acquisire o consolidare le conoscenze delle tecnologie previste dal Piano nazionale impresa 4.0, cioè:
- Big data e analisi dei dati;
- Cloud e fog computing;
- Cyber security;
- Sistemi cyber-fisici;
- Prototipazione rapida;
- Sistemi di visualizzazione e realtà aumentata;
- Robotica avanzata e collaborativa;
- Interfaccia uomo macchina;
- Manifattura additiva;
- Internet delle cose e delle macchine;
- Integrazione digitale dei processi aziendali.
Sono in ogni caso escluse dal beneficio le attività di formazione, ordinaria o periodica, organizzata dall’impresa per conformarsi alle norme in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e di protezione dell’ambiente o ad altre norme obbligatorie in materia di formazione.
Le attività formative dovranno essere pattuite attraverso contratti collettivi aziendali o territoriali e dovranno riguardare i seguenti ambiti:
- Vendita e marketing: acquisti, commercio al dettaglio, commercio all’ingrosso, gestione del magazzino, servizi ai consumatori, stoccaggio, tecniche di dimostrazione, marketing, ricerche di mercato;
- Informatica e tecniche: analisi di sistemi informatici, elaborazione elettronica dei dati, formazione degli amministratori di rete, linguaggi di programmazione, progettazione di sistemi informatici, programmazione informatica, sistemi operativi;
- Tecnologie di produzione: robotica, sistemi di comunicazione, tecnologie delle telecomunicazioni, tecnologie di elaborazione dati, biotecnologie, agricoltura di precisione.
Queste sono solo alcune delle tipologie di attività di formazione relative ai tre ambiti; per l’elenco completo è possibile consultare l’Allegato A della già citata legge.
Al fine di beneficiare del credito d’imposta, i costi sostenuti devono essere certificati dal soggetto incaricato della revisione legale o da un professionista iscritto nel registro dei revisori legali. In seguito, la certificazione dovrà essere allegata al bilancio.
Le imprese non soggette a revisione e prive di collegio sindacale dovranno comunque avvalersi delle prestazioni di un revisore legale o di una società di revisione. Per queste imprese, le spese sostenute per l’attività di certificazione contabile saranno ammissibili al credito d’imposta entro il limite massimo di 5.000 €.
Il credito d’imposta sarà utilizzabile esclusivamente in compensazione a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi sono sostenuti ed inoltre:
- Dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui sono state sostenute le spese agevolabili e in quelle relative ai periodi d’imposta successivi fino a quando se ne conclude l’utilizzo;
- Non concorre alla formazione dell’IRAP;
- Non concorre alla determinazione del rapporto rilevante per la deducibilità degli interessi passivi, delle spese e degli altri componenti negativi;
- Non è soggetto al limite annuale di 250.000 € per l’utilizzo dei crediti d’imposta né al limite massimo di compensabilità di crediti d’imposta e contributi di 700.000€;
- Si applica nel rispetto delle norme europee sulla compatibilità degli aiuti con il mercato interno.
I soggetti beneficiari di questo incentivo sono tutte le imprese, indipendentemente dalla natura giuridica, dal settore economico di appartenenza, dalle dimensioni, dal regime contabile adottato e dalle modalità di determinazione del reddito ai fini fiscali. Invece, non possono beneficiare dell’agevolazione tutti i soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo.
La misura dell’agevolazione è pari al 40% del costo aziendale del personale dipendente per il periodo in cui è occupato nelle attività formative agevolabili (da notare che la base di calcolo non è il costo del corso di formazione frequentato) e sarà riconosciuto fino a un importo massimo annuale di 300.000 € per ciascun beneficiario.
La tipologia di corsi di formazione a cui fa riferimento la Legge di Bilancio per fruire dell’agevolazione è relativa ad acquisire o consolidare le conoscenze delle tecnologie previste dal Piano nazionale impresa 4.0, cioè:
- Big data e analisi dei dati;
- Cloud e fog computing;
- Cyber security;
- Sistemi cyber-fisici;
- Prototipazione rapida;
- Sistemi di visualizzazione e realtà aumentata;
- Robotica avanzata e collaborativa;
- Interfaccia uomo macchina;
- Manifattura additiva;
- Internet delle cose e delle macchine;
- Integrazione digitale dei processi aziendali.
Sono in ogni caso escluse dal beneficio le attività di formazione, ordinaria o periodica, organizzata dall’impresa per conformarsi alle norme in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e di protezione dell’ambiente o ad altre norme obbligatorie in materia di formazione.
Le attività formative dovranno essere pattuite attraverso contratti collettivi aziendali o territoriali e dovranno riguardare i seguenti ambiti:
- Vendita e marketing: acquisti, commercio al dettaglio, commercio all’ingrosso, gestione del magazzino, servizi ai consumatori, stoccaggio, tecniche di dimostrazione, marketing, ricerche di mercato;
- Informatica e tecniche: analisi di sistemi informatici, elaborazione elettronica dei dati, formazione degli amministratori di rete, linguaggi di programmazione, progettazione di sistemi informatici, programmazione informatica, sistemi operativi;
- Tecnologie di produzione: robotica, sistemi di comunicazione, tecnologie delle telecomunicazioni, tecnologie di elaborazione dati, biotecnologie, agricoltura di precisione.
Queste sono solo alcune delle tipologie di attività di formazione relative ai tre ambiti; per l’elenco completo è possibile consultare l’Allegato A della già citata legge.
Al fine di beneficiare del credito d’imposta, i costi sostenuti devono essere certificati dal soggetto incaricato della revisione legale o da un professionista iscritto nel registro dei revisori legali. In seguito, la certificazione dovrà essere allegata al bilancio.
Le imprese non soggette a revisione e prive di collegio sindacale dovranno comunque avvalersi delle prestazioni di un revisore legale o di una società di revisione. Per queste imprese, le spese sostenute per l’attività di certificazione contabile saranno ammissibili al credito d’imposta entro il limite massimo di 5.000 €.
Il credito d’imposta sarà utilizzabile esclusivamente in compensazione a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi sono sostenuti ed inoltre:
- Dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui sono state sostenute le spese agevolabili e in quelle relative ai periodi d’imposta successivi fino a quando se ne conclude l’utilizzo;
- Non concorre alla formazione dell’IRAP;
- Non concorre alla determinazione del rapporto rilevante per la deducibilità degli interessi passivi, delle spese e degli altri componenti negativi;
- Non è soggetto al limite annuale di 250.000 € per l’utilizzo dei crediti d’imposta né al limite massimo di compensabilità di crediti d’imposta e contributi di 700.000€;
- Si applica nel rispetto delle norme europee sulla compatibilità degli aiuti con il mercato interno.
giovedì 11 gennaio 2018
Le operazioni straordinarie possono integrare il reato di cui all'art. 11 Dlgs 74/2000.
Le operazioni straordinarie effettuate secondo un disegno che configura lo "svuotamento" patrimoniale di una società al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte configurano l'ipotesi di reato di cui all'art. 11 del D.Lgs 74/2000; lo ha recentemente stabilito la Corte di Cassazione sezione penale con la sentenza 232/2018.
La fattispecie riguarda una società che esegue una scissione societaria del patrimonio immbobiliare in una newco che successivamente alla notifica di un atto di riscossione, relativo alla società scissa, conferiva il ramo immobiliare in una ulteriore società.
Il susseguirsi delle operazioni staordinarie, scissione e conferimento, e la contestualità del rigetto del ricorso attivato dalla beneficiaria contro una cartella esattoriale ha portato alla condanna.
La società in sede di giudizio penale si difendeva sostenendo che il codice civile prevede una garanzia per i creditori, prevedendo con l'art. 2506 quater che ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.
Questa previsione, tuttavia, secondo la Suprema Corte non è sufficiente e non esclude la responsabilità penale nel caso in cui le operazioni straordinarie siano poste in essere al fine di arrecare un pregiudizio ed un ostacolo all'attività di riscossione dei tributi. Il fatto che alla prima operazione fosse seguita un conferimento ha fatto ritenere integrato il delitto ex art. 11 D.Lgs 74 del 2000.
Il conferimento del compendio immobiliare era seguito al rigetto del ricorso avanzato in sede di notifica di una cartella esattoriale e sembrava, soprattutto in senso temporale, preordinato a sottrarsi al pagamento delle imposte dovute dalla scissa.
La fattispecie riguarda una società che esegue una scissione societaria del patrimonio immbobiliare in una newco che successivamente alla notifica di un atto di riscossione, relativo alla società scissa, conferiva il ramo immobiliare in una ulteriore società.
Il susseguirsi delle operazioni staordinarie, scissione e conferimento, e la contestualità del rigetto del ricorso attivato dalla beneficiaria contro una cartella esattoriale ha portato alla condanna.
La società in sede di giudizio penale si difendeva sostenendo che il codice civile prevede una garanzia per i creditori, prevedendo con l'art. 2506 quater che ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.
Questa previsione, tuttavia, secondo la Suprema Corte non è sufficiente e non esclude la responsabilità penale nel caso in cui le operazioni straordinarie siano poste in essere al fine di arrecare un pregiudizio ed un ostacolo all'attività di riscossione dei tributi. Il fatto che alla prima operazione fosse seguita un conferimento ha fatto ritenere integrato il delitto ex art. 11 D.Lgs 74 del 2000.
Il conferimento del compendio immobiliare era seguito al rigetto del ricorso avanzato in sede di notifica di una cartella esattoriale e sembrava, soprattutto in senso temporale, preordinato a sottrarsi al pagamento delle imposte dovute dalla scissa.
martedì 2 gennaio 2018
Le novità fiscali 2018
La legge di Bilancio 2018 introduce diverse novità in ambito fiscale e conferma alcune disposizioni in vigore nell'anno appena trascorso. Vediamo in sintesi le disposizioni di maggior interesse e rilievo.
Cedolare secca.
E' stata confermata a fine 2019 l'applicazione della cedolare secca nella misura del 10% relativa agli affitti derivanti da contratti stipulati a canone concordato.
Bonus lavori per ristrutturazioni e provvedimenti assimilabili.
Riguardo al bonus ristrutturazioni viene prorogata a fine 2018 la detrazione del 50% per le spese riguardanti le ristrutturazioni edilizie.
E' stata prorogata al 31/12/2018 la detrazione del 65% relativa alle spese riguardanti gli interventi per il risparmio energetico. La detrazione è prevista nella misura ridotta del 50% inc aso di spese per infissi, impianti di climatizzazione realizzati con caldaie a condensazione (limitatamente a quelle con efficienza energetica di classe A).
Detrezione del 65% invece le spese sostenute per l'acquisto e posa in opera di micro-cogeneratori che rimpiazzano vecchi impianti, con un tetto di detrazione di euro 100.000; l'acquisto deve consentire un risparmio energetico del 20%.
Ridotta dal 65% al 50% la detrazione per l'acquisto di impianti di climatizzazione invernale alimentati da biomasse e col limite di detrazione pari a 30.000 euro.
Estesa ad ogni contribuente e ad ogni tipo di spesa la possibilità di cedere i benefici della detrazione.
Interessante è la detrazione dell'80% prevista per gli interventi su edifici condominiali che sono nelle zone sismiche 1, 2 e 3 e che determinano una riduzione del rischio sismico (si deve scendere di una classe) e una riqualificazione energetica; la detrazione arriva all'85% se le spese conducono al passaggio a due classi di rischio inferiori, rispetto a quella di partenza.
La disposizione in commento sarà alternativa a quella prevista dal D.L. 63 del 2013.
Introdotta per l'anno in corso una detrazione IRPEF del 36% per le spese effettuate per la sistemazione del verde (realizzazione pozzi e impianti di irrigazione) e la realizzazione di giardini pensili e di giardini a copertura di aree, le spese non potranno essere di importo superiore a 5.000 euro per abitazione.
Questa detrazione sarà operativa anche per le spese realizzate sulle parti comuni degli edifici condominiali.
Credito d’imposta alberghi.
Viene esteso agli stabilimenti termali il credito d'imposta sulle riqualificazioni delle strutture ricettive previsto dal D.l. numero 82 del 2014.
Detrazione per le spese per abbonamenti al trasporto pubblico.
Sarà possibile detrarre le spese per l'acquisto di abbonamenti relativi a servizi di trasporto pubblico nel limite di una spesa annua di 250 euro.
La detrazione potrà essere fruita anche per le spese sostenute a favore di famigliari a carico.
Le somme rimborsate dai datori di lavoro per spese documentate e relative all'acquisto di titoli di viaggio per il trasporto pubblico non concorreranno a formare il reddito fiscale del dipendente percipiente.
Agevolazioni fiscali per le aziende.
Prorogate per il 2018 le norme riguardanti il cd super e iperammortamento.
La proroga è stata effettuata con alcune modifiche: la misura del super ammortamento nel nuovo anno scende al 30% (sono esclusi gli investimenti in veicoli e mezzi di trasporto); si potrà beneficiare della agevolazione anche per gli investimenti fatti entro il 30/6/2019, sempre a pato che entro il 31/12/2018 sia stato fatto ed accettato l'ordine di acquisto e sia stato pagato un acconto del 20% del costo totale del bene; per quanto riguarda l’iper ammortamento la misura resta al 150% e l'agevolazione sarà estesa agli acquisti effettuati entro il 31/12/2019, con i soliti limiti dell'ordine entro il 31/12/2018 e del pagamento di un acconto almeno del 20%.
Confermato, invece, al 40% il super ammortamento per l'acquisto di software necessari all'implementazione di tecnologie previste dal modello Industria 4.0 per tutti coloro che beneficiano nell'anno appena iniziato dell'iper ammortamento.
Rientrano tra i software agevolabili quelli destinati alle attività di supply chain (in ambito e-commerce), quelli relativi alla realtà aumentata e quelli che troveranno applicazione negli ambiti della logistica per attività di interconnessione telematica di dispositivi mobili e on-field.
Le imprese non perderanno il beneficio fiscale dell'iperammortamento nell'ipotesi di cessione del bene agevolato a patto che lo stesso venga sostituito con l'acquisto di un nuovo bene che per caratteristiche e proprietà possa essere assimilato a quello ceduto. Se il bene rimpiazzato aveva un costo superiore al bene che lo sostituisce l'agevolazione iniziale andrà riproporzionato.
Ritenuta del 26% sui proventi dei prestiti erogati mediante piattaforme informatiche.
E' stata introdotta una ritenuta a titolo di imposta prevista nella misura del 26% sui proventi derivanti dalle attività di prestiti e finanziamenti organizzata attraverso siti internet (soggetti ex art. 106 e 114 TUB).
Credito di imposta per le attività di formazione: le imprese che sostengono spese per attività di formazione potranno beneficiare di un credito d'imposta del 40% delle spese relative al costo del personale dipendente limitatamente al periodo realmente utilizzato in attività di formazione.
Il credito d'imposta ha un limite annuale di 300.000 euro per beneficiario e riguarda solo la formazione effettuata per le conoscenze relative all tecnologia prevista dal Piano Industria 4.0 (ad esempio: big data, analisi dati, cloud computing, sicurezza informatica, sistemi di visualizzazione e realtà aumentata, robotica avanzata, manifattura additiva, internet delle cose e delle macchine, integrazione informatica dei processi aziendali).
Il credito d'imposta va indicato in dichiarazione dei redditi, non concorre alla formazione del reddito (neanche ai fini Irap) e non soggiace ai limiti di compensazione previsti dalla legge 388 del 2000 e 244 del 2007.
Le spese per le attività di formazione devono essere certificate dal soggetto incaricato della revisione legale o da revisore legale.
Previsto un credito d’imposta per le imprese che operano nel settore della cultura; in particolare viene previsto entro il limite di spesa di 500.000 euro per il 2018 (elevato ad un milione per il 2019 e 2020) un credito d’imposta del 30% relativamente ai costi sostenuti per attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi.
Potranno beneficiare del credito in questione le imprese che svolgono attività culturali, servizi e opere dell’ingegno inerenti letteratura, musica, arti figurative ed applicate, spettacoli, attività di cinematografia, biblioteche, musei. Il credito d’imposta soggiace alle norme “de minimis” e non concorrerò alla determinazione del reddito. Un apposito decreto specificherà le norme operative.
Istituzione di un credito d’imposta per gli acquisti di beni formati con plastiche derivanti dai processi di raccolta differenziata. Per incentivare il riciclaggio e riuso della plastica le imprese che acquisteranno nel triennio 2018-2020 prodotti creati grazie al riuso di materiali di plastica, provenienti dalla raccolta differenziata, sarà riconosciuto un credito d’imposta nella misura del 36% del costo dei beni acqustati Anche a questo tipo di credito di imposta non si applicano le limitazione di compensazione di cui alle leggi 388/2000 e 244/2007. Il credito sarà utilizzabile a decorrere dal 1° gennaio del periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione gli
Le SIM - società di intermediazione mobiliare - saranno escluse dall’applicazione dell’addizionale IRES del 3,5% che è stata introdotta per gli enti creditizi dalla legge di stabilità del 2016
Le SIM potranno nuovamente dedurre dal reddito gli interessi passivi nel misura del 96% del loro ammontare.
Per agevolare il processo di quotazione in borsa sarà concesso un credito d’imposta per le spese di consulenza relative ai programmi di quotazione sostenuti dalle piccole e medie imprese.
Il credito spetterà in misura pari al 50% delle spese sostenute nel periodo 2018-2020.
Deduzioni IRAP per le spese di lavoro. Per l'anno in corso i soggetti IRAP potranno dedurre il costo totale del personale stagionale impiegato per oltre 120 giorni per due periodi d'imposta; la deduzione spetterà a decorrere dal secondo contratto stipulato con il medesimo datore di lavoro.
Sono state elevate le soglie reddituali relative alla fruibilità del bonus degli 80 euro; in particolare la soglia di 24.000 euro è elevata ad euro 24.600 e decresce fino ad esaurirsi per redditi pari o superiori a 26.600 euro.
Detrazioni fiscali per figli a carico; è stato innalzato il limite di reddito per considerare i figli a carico di età non superiore ai 24 anni. L'attuale limite di reddito previsto nella misura di euro 2.840,51 viene portato ad euro 4.000,00. La norma si applicherà a partire dal 1° gennaio 2019.
Iscriviti a:
Post (Atom)