La sentenza della Corte Costituzionale numero 254 del 2017, ha chiarito che l'applicazione della solidarietà per le retribuzioni e i contributi prevista dal D.lgs 276 del 2003 (cd legge Biagi) nei casi di appalti di servizi si estende alla subfornitura industriale.
La subfornitura è una fattispecie contrattuale prevista dalla legge 192 del 1998, molto utilizzata da quelle imprese che per diversi motivi si trovano a dover estendere la propria capacità produttiva esternalizzano parte delle proprie attività di produzione a imprese esterne.
Nel caso in esame la Corte di Appello ha invocato l'intervento della Corte Costituzionale chiedendo di pronunciarsi sull'applicabilità o meno della solidarietà prevista in tema di contratto di appalto alla non dissimile tipologia di accordo di subfornitura.
La Corte ha ricostruito i diversi orientamenti giurisprudenziali evidenziando le posizioni che hanno condotto alcuni giudici a pronunciarsi a favore o in senso contrario con riguardo all'applicazione dell'istitudo della solidarietà prevista dalla citata legge Biagi.
Un orientamento definiva diversi i due tipi di contratto in considerazione dell'esistenza nella subfornitura di una supposta dipendenza tecnologica, dipendenza che si manifesta nelle specifiche tecniche cui il fornitore deve sottostare nel processo di produzione, che non trova corrispondenza nel contratto di appalto che prevede, invece, una completa autonomia organizzativa e produttiva dell'appaltatore.
L'orientamento opposto riteneva i due accordi molto simili, anzi qualificava il contratto di subfornitura come una sottospecie del contratto di appalto.
Gli orientamenti non risolvevano, tuttavia, la questione riguardante la possibilità di applicare o meno il regime di solidarietà al primo tipo di contratto, ed è qui che interviene la Corte Costituzionale stabilendo che il committente deve ritenersi solidale con il subfornitore in ossequio al principio contenuto nella legge 276 del 2003.
L'interpretazione renderà necessario da parte della committenza un attento monitoraggio e controllo degli adempiementi previdenziali e retributivi dei fornitori; andranno previste clausole contrattuali con previsioni di apposite penali in caso di violazione delle previsioni di legge da parte del subofornitore ed opportuni obblighi di rendicontazione e trasparenza.
Studio ASSE - Commercialisti e Avvocati in Roma, Bologna e Milano. Dott. Arturo Gulinelli - Dott. Salvatore Magistri - Avv. Piero Cesarei - Avv. Matteo Pellegrini - Avv. Giampiero Agnese - Avv. Nicoletta Grassi - Sede di Roma, Via Scipioni 132 - 00192 - tel. 063700388 r.a. - sede di Bologna via L.C. FARINI 40124 Tel: 051/332017 - sede di Milano Piazza Velasca 8 - 20122 - Tel: 02/76004104 -
lunedì 11 dicembre 2017
mercoledì 15 novembre 2017
L'impatto sull'organizzazione aziendale del regolamento europeo sulla privacy
Nel mese di maggio 2016 è stato pubblicato nella GU dell’Unione Europea il Regolamento 2016/679 del Parlamento Europeo che riguarda il trattamento dei dati delle persone fisiche e la libera portabilità di tali dati.
Le imprese avranno tempo per adeguarsi alla normativi fino al 25 Maggio 2018.
E' una rivoluzione nel mondo della privacy che investirà soprattutto, ma non solo, le attività di marketing e di segmentazione e profilazione dei clienti.
I punti principali su cui gira la normativa sono: il diritto all’oblio, come accennato sopra la portabilità dei dati, l'accesso semplificato ai propri dati, le modalità di notifica delle violazioni agli interessati e alle autorità competenti. Le nuove norme vanno ad modificare il nostro codice della privacy che risale al lontano 2003 e sono state spinte certamente dal sempre più frequente uso di contenuti e contratti attraverso internet.
Saranno, infatti, proprio i dati gestiti tramite la rete ad essere più attenzionati dalla nuova normativa, in particolare per l'inquadramento delle attivitià di profilazione; le imprese che svolgono servizi attraverso la rete dovranno acquisire un consenso espresso sul trattamento dei dati prima di prestare servizi agli utenti.
Una novità è relativa alla legge di applicazione che non sarà più quella del soggetto che effettua il trattamento ma quella della persona di cui vengono raccolti i dati.
Chi opera su internet risponderà, quindi, secondo le leggi in cui risiedono le persone di cui vengono raccolti i dati. Il regolamento abolisce la figura del Titolare del Trattamento Dati che dal 2018 sarà il Responsabile della protezione dei dati (DPO).
Le imprese medie e piccole avranno delle semplificazioni e dei percorsi agevolati; ad esempio la nomina del responsabile della protezione dei dati e la valutazione dell'impatto saranno obbligatori solo se il rischio sulla tutela dei dati sia elevato.
Importanti le sanzioni che potranno arrivere fino a 20 milioni di euro, oppure fino al 4% del valore del fatturato.
Cosa dovranno fare le imprese per adeguarsi alla normativa?
Avviare con i propri consulenti legali e informatici una mappatura dei processi aziendali per individuare le aree di rischio, sottoporle ad analisi al fine di creare le idonee procedure per il rispetto della nuova normativa.
Vediamo alcuni obblighi:
Viene rafforzato il dovere di documentare (accountability) i processi del trattaemento dei dati a cura di tutti coloro che vi partecipano; la mancanza di documentazione può comportare l'irrogazione di sanzioni.
Anche il principio della trasparenza viene implementato: l'informativa sulla privacy dovrà essere leggibile, concisa, accessibile, scritta in linguaggio chiaro e senza troppi riferimenti normativi.
Il consenso al trattamento oltre che libero, specifico e informato dovrà essere espresso in modo inequivocabile.
Sarà necessario fare una valutazione dei rischi e si dovrà predisporre un piano per identificarli e gestirli in modo da renderli minimi, prevedendo anche azioni di monitoraggio.
Una semplificazione riguarda l'abolizione della notifica al Garante che un'impresa doveva fare avvisando che trattava dei dati con una specifica finalità (vedi art. 37 Dlgs del 2003), mentre ora sarà sufficiente redigere il documento di privacy impact assessment, per considerare effettuata la notifica.
Le aziende pubbliche e le imprese che svolgono attività che comportano un certo rischio nella raccolta e nel trattamento dei dati dovranno nominare il data protection officer (DPO) che sarà un incaricato di garantire la protezione dei dati e dovrà rispondere alla società che lo ha nominato e al garante pubblico.
Il Regolamento Europeo prevede che nel caso di violazione del trattamento dei dati sarà obbligatorio comunicare la fattispecie verificatasi entro 72 ore al Garante pubblico, informando anche le persone coinvolte nella violazione della privacy. Non rispettare la previsione della notifica espone le imprese a sanzioni penali
Come anticipato in apertura, il regolamento prevede il diritto alla portabilità dei dati e, inoltre, il diritto a essere dimenticato da chi ha raccolto i dati (cd diritto all'oblio).
Le imprese dovranno da subito verificare i propri standard di sicurezza e predisporre un piano di azione per trovarsi pronti all'appuntamento del 25 maggio del 2018.
Le imprese avranno tempo per adeguarsi alla normativi fino al 25 Maggio 2018.
E' una rivoluzione nel mondo della privacy che investirà soprattutto, ma non solo, le attività di marketing e di segmentazione e profilazione dei clienti.
I punti principali su cui gira la normativa sono: il diritto all’oblio, come accennato sopra la portabilità dei dati, l'accesso semplificato ai propri dati, le modalità di notifica delle violazioni agli interessati e alle autorità competenti. Le nuove norme vanno ad modificare il nostro codice della privacy che risale al lontano 2003 e sono state spinte certamente dal sempre più frequente uso di contenuti e contratti attraverso internet.
Saranno, infatti, proprio i dati gestiti tramite la rete ad essere più attenzionati dalla nuova normativa, in particolare per l'inquadramento delle attivitià di profilazione; le imprese che svolgono servizi attraverso la rete dovranno acquisire un consenso espresso sul trattamento dei dati prima di prestare servizi agli utenti.
Una novità è relativa alla legge di applicazione che non sarà più quella del soggetto che effettua il trattamento ma quella della persona di cui vengono raccolti i dati.
Chi opera su internet risponderà, quindi, secondo le leggi in cui risiedono le persone di cui vengono raccolti i dati. Il regolamento abolisce la figura del Titolare del Trattamento Dati che dal 2018 sarà il Responsabile della protezione dei dati (DPO).
Le imprese medie e piccole avranno delle semplificazioni e dei percorsi agevolati; ad esempio la nomina del responsabile della protezione dei dati e la valutazione dell'impatto saranno obbligatori solo se il rischio sulla tutela dei dati sia elevato.
Importanti le sanzioni che potranno arrivere fino a 20 milioni di euro, oppure fino al 4% del valore del fatturato.
Cosa dovranno fare le imprese per adeguarsi alla normativa?
Avviare con i propri consulenti legali e informatici una mappatura dei processi aziendali per individuare le aree di rischio, sottoporle ad analisi al fine di creare le idonee procedure per il rispetto della nuova normativa.
Vediamo alcuni obblighi:
Viene rafforzato il dovere di documentare (accountability) i processi del trattaemento dei dati a cura di tutti coloro che vi partecipano; la mancanza di documentazione può comportare l'irrogazione di sanzioni.
Anche il principio della trasparenza viene implementato: l'informativa sulla privacy dovrà essere leggibile, concisa, accessibile, scritta in linguaggio chiaro e senza troppi riferimenti normativi.
Il consenso al trattamento oltre che libero, specifico e informato dovrà essere espresso in modo inequivocabile.
Sarà necessario fare una valutazione dei rischi e si dovrà predisporre un piano per identificarli e gestirli in modo da renderli minimi, prevedendo anche azioni di monitoraggio.
Una semplificazione riguarda l'abolizione della notifica al Garante che un'impresa doveva fare avvisando che trattava dei dati con una specifica finalità (vedi art. 37 Dlgs del 2003), mentre ora sarà sufficiente redigere il documento di privacy impact assessment, per considerare effettuata la notifica.
Le aziende pubbliche e le imprese che svolgono attività che comportano un certo rischio nella raccolta e nel trattamento dei dati dovranno nominare il data protection officer (DPO) che sarà un incaricato di garantire la protezione dei dati e dovrà rispondere alla società che lo ha nominato e al garante pubblico.
Il Regolamento Europeo prevede che nel caso di violazione del trattamento dei dati sarà obbligatorio comunicare la fattispecie verificatasi entro 72 ore al Garante pubblico, informando anche le persone coinvolte nella violazione della privacy. Non rispettare la previsione della notifica espone le imprese a sanzioni penali
Come anticipato in apertura, il regolamento prevede il diritto alla portabilità dei dati e, inoltre, il diritto a essere dimenticato da chi ha raccolto i dati (cd diritto all'oblio).
Le imprese dovranno da subito verificare i propri standard di sicurezza e predisporre un piano di azione per trovarsi pronti all'appuntamento del 25 maggio del 2018.
giovedì 12 ottobre 2017
La Cassazione conferma l'obbligo di contraddittorio per i tributi armonizzati.
La Corte di Cassazione con l'Ordinanza del 11/09/2017 n. 21071/6 ha ribadito il principio, già precisato nella sentenza SS.UU. del 09 dicembre 2015 numero 24823, che l’amministrazione finanziaria è onerata di un generale obbligo di contraddittorio endoprocedimentale con i contribuenti oggetto di verifiche fiscali e che tale obbligo riguarda esclusivamente i tributi “armonizzatiha; con ciò la Suprema Corte accoglieva il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che aveva quale oggetto l'impugnazione della sentenza di Commissione Tributaria Regionale favorevole al contribuente.
Il giudice del precedente grado si era pronunciato in favore del contribuente richiamando la violazione dell’art. 12, L. 212/2000 decidendo per la nullità degli atti di accertamento tanto per i tributi non armonizzati, che per quelli armonizzati.
La Corte ha letteralmente ricordato che "in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione Finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'invalidità dell'atto purchè il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi "armonizzati", mentre, per quelli "non armonizzati", non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito".
Il procedimento giudiziario si concludeva, quindi, con l'accoglimento del ricorso dell'Agenzia delle Entrate visto che le sentenze impugnate erano difformi da detto principio di diritto in relazione sia all'IRAP che all'IRPEF.
Il giudice del precedente grado si era pronunciato in favore del contribuente richiamando la violazione dell’art. 12, L. 212/2000 decidendo per la nullità degli atti di accertamento tanto per i tributi non armonizzati, che per quelli armonizzati.
La Corte ha letteralmente ricordato che "in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione Finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'invalidità dell'atto purchè il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi "armonizzati", mentre, per quelli "non armonizzati", non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito".
Il procedimento giudiziario si concludeva, quindi, con l'accoglimento del ricorso dell'Agenzia delle Entrate visto che le sentenze impugnate erano difformi da detto principio di diritto in relazione sia all'IRAP che all'IRPEF.
venerdì 1 settembre 2017
Fiscalità internazionale: il regime della branch exemption
Il recente provvedimento dell'AE del 28 agosto chiarisce l'operatività del nuovo regime di esenzione degli utili delle stabili organizzazioni di imprese residenti di cui all’articolo 168-ter.
Ricordiamo intanto che quando si parla di “utile” o di “perdita” relativamente ad una stabile organizzazione estera, di un’impresa residente nel territorio dello Stato, ci riferiamo a quelli risultanti dal rendiconto economico e patrimoniale redatto secondo i criteri dettati dall’articolo 152 del TUIR.
Il regime in questione consente all’impresa di esercitare una opzione che prevede l'esenzione degli utili e delle perdite attribuibili alle proprie stabili organizzazioni; l'opzione deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta di costituzione della branch.
Nel caso l’impresa possiede una o più stabili organizzazioni, con riguardo alla data del 7 ottobre 2015, può aderire al regime premiale anche nella dichiarazione relativa al secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso all'ottobre 2015. Quindi, il primo esercizio sarà quello in corso, il 2017 e l'opzione dovrà essere effettuata nella dichiarazione del 2018.
E' possibile esercitare l’opzione solo ove sia configurabile una stabile organizzazione nello Stato estero di localizzazione; per stabilire se vi sia o meno una effettiva stabile organizzazione occore far riferimento alle convenzioni contro le doppie imposizioni vigenti o in caso di assenza di un accordo convenzionale, si dovrà far ricorso ai criteri stabiliti dall’articolo 162 del TUIR.
L’opzione avrà l'effetto di ricondurre nel regime agevolativo tutte le stabili organizzazioni dell’impresa esistenti al momento dell’esercizio, oltre a quelle costituite successivamente.
L’opzione cessa a seguito della chiusura, anche per liquidazione o cessione, delle branch.
La norma e il provvedimento in esame ricordano che le perdite fiscali che la branch ha conseguito nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di efficacia dell’opzione, e che sono state imputate alla casa madre, determinano che gli utili conseguiti dalla stessa branch in vigenza del regime agevolativo, saranno attribuiti all'impresa residente fino a concorrenza di dette perdite.
Il giusto ammontare delle perdite fiscali relative alla stabile organizzazione nei cinque periodi di imposta precedenti all'entrata in vigore del regime agevolativo, sono determinate al netto dei redditi imponibili realizzati dalla medesima branch.
Importante il passaggio in cui l'AE si sofferma sulle operazioni di cessione di beni o diritti fatti a favore della branch nel quinquennio precedente all'inizio di applicazione del regime agevolativo; l'AE ricorda, infatti, che "se nei cinque periodi d’imposta precedenti a quello di efficacia dell’opzione, l’impresa ha trasferito, a qualsiasi titolo, alla stabile organizzazione attività o passività, compresi i beni di cui all’articolo 85 del TUIR, nonché funzioni e rischi che al momento del trasferimento non sono stati valorizzati in capo alla medesima branch in base al valore determinato ai sensi dell’articolo 110, comma 7, del TUIR, gli stessi, se ancora esistenti, assumono presso la branch esente, ai fini del paragrafo 7, un costo fiscale pari a detto valore, tenendo conto delle funzioni svolte e dei rischi assunti da casa madre al momento del trasferimento. L’adeguamento del costo fiscale al valore di cui al periodo precedente delle attività e/o passività nonché delle funzioni e rischi ricevuti dalla branch avviene mediante apposite variazioni in aumento e diminuzione da effettuare nella sezione della dichiarazione dei redditi relativa alla determinazione del reddito dell’impresa nel complesso e della stabile organizzazione esente".
Come si determina il reddito della branch? Il reddito della stabile organizzazione è determinato in base all’Approccio Autorizzato OCSE, che prevede che la stabile organizzazione venga considerata come un’entità separata che svolge analoghe attività della casa madre, in condizioni similari e tenendo conto delle funzioni svolte e dei rischi assunti e dei beni utilizzati.
Come anticipato tanto utili, quanto le perdite relative alla stabile organizzazione esente devono risultare da apposito rendiconto economico e patrimoniale redatto secondo i criteri dettati dall’articolo 152 del TUIR. Coerentemente ai richiamati criteri OCSE.
Cosa accade alla casa madre italiana? Semplice gli utili e le perdite che emergono in capo alle stabili organizzazioni che fanno parte del regime agevolative non concorrono alla determinazione del suo reddito imponibile.
L'unica eccezione a questa regola riguarda gli utili che sono stati conseguiti da branch siutate negli Stati o territori indicati nell’articolo 167 quarto comma del TUIR, che seguiranno le regole previste per la distribuzione dei dividendi cd "black list".
Ricordiamo intanto che quando si parla di “utile” o di “perdita” relativamente ad una stabile organizzazione estera, di un’impresa residente nel territorio dello Stato, ci riferiamo a quelli risultanti dal rendiconto economico e patrimoniale redatto secondo i criteri dettati dall’articolo 152 del TUIR.
Il regime in questione consente all’impresa di esercitare una opzione che prevede l'esenzione degli utili e delle perdite attribuibili alle proprie stabili organizzazioni; l'opzione deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta di costituzione della branch.
Nel caso l’impresa possiede una o più stabili organizzazioni, con riguardo alla data del 7 ottobre 2015, può aderire al regime premiale anche nella dichiarazione relativa al secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso all'ottobre 2015. Quindi, il primo esercizio sarà quello in corso, il 2017 e l'opzione dovrà essere effettuata nella dichiarazione del 2018.
E' possibile esercitare l’opzione solo ove sia configurabile una stabile organizzazione nello Stato estero di localizzazione; per stabilire se vi sia o meno una effettiva stabile organizzazione occore far riferimento alle convenzioni contro le doppie imposizioni vigenti o in caso di assenza di un accordo convenzionale, si dovrà far ricorso ai criteri stabiliti dall’articolo 162 del TUIR.
L’opzione avrà l'effetto di ricondurre nel regime agevolativo tutte le stabili organizzazioni dell’impresa esistenti al momento dell’esercizio, oltre a quelle costituite successivamente.
L’opzione cessa a seguito della chiusura, anche per liquidazione o cessione, delle branch.
La norma e il provvedimento in esame ricordano che le perdite fiscali che la branch ha conseguito nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di efficacia dell’opzione, e che sono state imputate alla casa madre, determinano che gli utili conseguiti dalla stessa branch in vigenza del regime agevolativo, saranno attribuiti all'impresa residente fino a concorrenza di dette perdite.
Il giusto ammontare delle perdite fiscali relative alla stabile organizzazione nei cinque periodi di imposta precedenti all'entrata in vigore del regime agevolativo, sono determinate al netto dei redditi imponibili realizzati dalla medesima branch.
Importante il passaggio in cui l'AE si sofferma sulle operazioni di cessione di beni o diritti fatti a favore della branch nel quinquennio precedente all'inizio di applicazione del regime agevolativo; l'AE ricorda, infatti, che "se nei cinque periodi d’imposta precedenti a quello di efficacia dell’opzione, l’impresa ha trasferito, a qualsiasi titolo, alla stabile organizzazione attività o passività, compresi i beni di cui all’articolo 85 del TUIR, nonché funzioni e rischi che al momento del trasferimento non sono stati valorizzati in capo alla medesima branch in base al valore determinato ai sensi dell’articolo 110, comma 7, del TUIR, gli stessi, se ancora esistenti, assumono presso la branch esente, ai fini del paragrafo 7, un costo fiscale pari a detto valore, tenendo conto delle funzioni svolte e dei rischi assunti da casa madre al momento del trasferimento. L’adeguamento del costo fiscale al valore di cui al periodo precedente delle attività e/o passività nonché delle funzioni e rischi ricevuti dalla branch avviene mediante apposite variazioni in aumento e diminuzione da effettuare nella sezione della dichiarazione dei redditi relativa alla determinazione del reddito dell’impresa nel complesso e della stabile organizzazione esente".
Come si determina il reddito della branch? Il reddito della stabile organizzazione è determinato in base all’Approccio Autorizzato OCSE, che prevede che la stabile organizzazione venga considerata come un’entità separata che svolge analoghe attività della casa madre, in condizioni similari e tenendo conto delle funzioni svolte e dei rischi assunti e dei beni utilizzati.
Come anticipato tanto utili, quanto le perdite relative alla stabile organizzazione esente devono risultare da apposito rendiconto economico e patrimoniale redatto secondo i criteri dettati dall’articolo 152 del TUIR. Coerentemente ai richiamati criteri OCSE.
Cosa accade alla casa madre italiana? Semplice gli utili e le perdite che emergono in capo alle stabili organizzazioni che fanno parte del regime agevolative non concorrono alla determinazione del suo reddito imponibile.
L'unica eccezione a questa regola riguarda gli utili che sono stati conseguiti da branch siutate negli Stati o territori indicati nell’articolo 167 quarto comma del TUIR, che seguiranno le regole previste per la distribuzione dei dividendi cd "black list".
giovedì 27 luglio 2017
Legittima la scissione a cui segue una cessione delle quote. Ris. 97/E dell'AE
Con la risoluzione 97/E del 25 luglio scorso l'Agenzia delle Entrate, in sede di interpello ex art. 11 L. 2000/212, interviene sull'operazione di scissione di un compendio immobiliare e della successiva vendita delle quote da parte della scissa che è rimasta proprietaria del ramo operativo che svolge attività di poliambulatorio.
La società istante chiede un parere sull'eventuale abusività ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, delle rappresentate operazioni di scissione parziale proporzionale e della successiva cessione delle quote da parte dei soci della scissa a favore di una società terza che è interessata ad acquisire la gestione dell'attività sanitaria.
I soci del ramo operativo che cedone le partecipazioni sono persone fisiche (che sterilizzano la plusvalenza con la procedura della rivalutazione delle quote) e una società di capitali che realizzerà una plusvalenza esente ex art. 87 Tuir.
Da prima l'AE ricorda che affinché un'operazione possa essere considerata abusiva, l'Amministrazione Finanziaria deve identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi:
a) la realizzazione di un vantaggio fiscale "indebito", costituito da "benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario";
b) l’assenza di "sostanza economica" dell'operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in "fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali";
c) l'essenzialità del conseguimento di un "vantaggio fiscale".
E prosegue l'AE ricordando che l'assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell'abuso determina un giudizio di assenza di abusività, e che comunque non possono essere considerate abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, sono giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali (anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa).
Nell'esame della situazione prospettata l'AE non rinviene l'esistenza di un "indebito vantaggio fiscale" riconducibile alle fattispecie di abuso del diritto, confermando la leggitimità di una scissione parziale proporzionale - come quella dell'istanza - tesa alla creazione di una o più società destinate ad accogliere i rami operativi dell'azienda da far circolare, successivamente, sotto forma di partecipazioni da parte dei soci-persone fisiche.
In sostanza è legittimo far circolare una azienda sia in modo diretto che indiretto e a tal proposito l'AE aggiunge che la circolazione indiretta dell'azienda sarebbe potuta avvenire anche mediante il procedimento, esplicitamente qualificato come alternativo alla cessione diretta e non abusivo dal legislatore, ai fini delle imposte sui redditi, di costituzione di una newco, conferimento del ramo di azienda da cedere e cessione della partecipazione (qualora abbia i requisiti pex).
La società istante chiede un parere sull'eventuale abusività ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, delle rappresentate operazioni di scissione parziale proporzionale e della successiva cessione delle quote da parte dei soci della scissa a favore di una società terza che è interessata ad acquisire la gestione dell'attività sanitaria.
I soci del ramo operativo che cedone le partecipazioni sono persone fisiche (che sterilizzano la plusvalenza con la procedura della rivalutazione delle quote) e una società di capitali che realizzerà una plusvalenza esente ex art. 87 Tuir.
Da prima l'AE ricorda che affinché un'operazione possa essere considerata abusiva, l'Amministrazione Finanziaria deve identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi:
a) la realizzazione di un vantaggio fiscale "indebito", costituito da "benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario";
b) l’assenza di "sostanza economica" dell'operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in "fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali";
c) l'essenzialità del conseguimento di un "vantaggio fiscale".
E prosegue l'AE ricordando che l'assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell'abuso determina un giudizio di assenza di abusività, e che comunque non possono essere considerate abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, sono giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali (anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa).
Nell'esame della situazione prospettata l'AE non rinviene l'esistenza di un "indebito vantaggio fiscale" riconducibile alle fattispecie di abuso del diritto, confermando la leggitimità di una scissione parziale proporzionale - come quella dell'istanza - tesa alla creazione di una o più società destinate ad accogliere i rami operativi dell'azienda da far circolare, successivamente, sotto forma di partecipazioni da parte dei soci-persone fisiche.
In sostanza è legittimo far circolare una azienda sia in modo diretto che indiretto e a tal proposito l'AE aggiunge che la circolazione indiretta dell'azienda sarebbe potuta avvenire anche mediante il procedimento, esplicitamente qualificato come alternativo alla cessione diretta e non abusivo dal legislatore, ai fini delle imposte sui redditi, di costituzione di una newco, conferimento del ramo di azienda da cedere e cessione della partecipazione (qualora abbia i requisiti pex).
giovedì 15 giugno 2017
La Cooperative Compliance: il provvedimento dell'AE del 29 maggio di Giulia Maria Rijillo
Una parola divenuta di frequente utilizzo negli ultimi anni nel mondo aziendale è certamente la parola “compliance”. Compliance vuol dire conformità delle procedure interne di un'azienda con il sistema normativo e regolamentare; in termini pratici ciò si traduce in una costante attività preventiva, volta a eliminare il rischio di non conformità garantendo l’attuazione degli adempimenti richiesti. L’importanza della compliance nelle aziende, invero, è cresciuta significativamente negli ultimi anni di pari passo con la sempre maggiore complessità del quadro normativo che richiede continui adempimenti documentali spesso percepiti, proprio dalle aziende, solo come un inutile esercizio burocratico. A tal proposito, con il decreto legislativo n. 128 del 5 agosto 2015, attuativo della legge delega fiscale n. 23 del 2014, è stato introdotto nel nostro sistema l’istituto della Cooperative Compliance ovvero un regime di adempimento collaborativo con l’obiettivo di instaurare un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente che miri ad un aumento del livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti. Tale obiettivo è perseguito tramite l’interlocuzione costante e preventiva con il contribuente su elementi di fatto, ivi inclusa l’anticipazione del controllo, finalizzata ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali. Nella specie, attraverso l’adozione di forme di comunicazione e di cooperazione “rafforzata” tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria si vuole fornire, ex ante, certezza del diritto in relazione ai rischi fiscali dell’impresa. Il cambio di approccio delineato è radicale: da una logica basata sul controllo a posteriori dell’operato del contribuente, con la Cooperative Compliance si passa ad una logica fondata sul confronto preventivo, finalizzata a garantire maggiore certezza giuridica e, dunque, minore conflittualità tra le parti, ridimensionando l’eventuale intervento dell’Amministrazione a extrema ratio per i casi di accertata infrazione.
Ma chi può accedere a tale istituto? L’accesso, così come specificato dall’Agenzia delle Entrate, è riservato solo ai grandi, o meglio grandissimi, contribuenti ovvero:
• ai soggetti residenti e non residenti che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a dieci miliardi di euro;
• ai soggetti residenti e non residenti che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a un miliardo di euro e che abbiano presentato istanza di adesione al Progetto Pilota del 2013;
• alle imprese che intendano dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi investimenti, di cui all’art. 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, indipendentemente dal volume di affari o di ricavi.
E’ poi consentito l’accesso per trascinamento:
• alle società che, pur in assenza dei requisiti dimensionali sopra citati, esercitino le “funzioni di indirizzo” in relazione al sistema di controllo del rischio fiscale, purché, tuttavia, “tale inclusione sia ritenuta necessaria ai fini di una completa rappresentazione dei processi aziendali”; e
• con il limite dimensionale del miliardo di euro, alle società del gruppo che, a suo tempo, abbiano fatto richiesta di accesso al Progetto Pilota.
Con riferimento, invece, ai requisiti oggettivi valgano le seguenti indicazioni.
Le imprese che vogliono aderire al nuovo regime di adempimento collaborativo devono disporre di un efficace sistema di gestione e controllo del rischio fiscale, cd. Tax Control Framework (“TCF”), con esso intendendosi non l’applicazione di un modello standard, ma un approccio organizzativo e procedurale “individualizzato” ovvero basato sulla propria realtà aziendale. Il sistema deve, dunque, prevedere un’attenta attività di rilevazione e reporting del rischio a tutti i livelli aziendali.
Con il provvedimento del 29 maggio dell’Agenzia, inoltre, si vuole mettere in risalto un altro punto di forza di questo istituto, ovvero la competenza piena ed esclusiva dell’Ufficio di Cooperative Compliance sia per l’esercizio preventivo degli ordinari poteri di controllo, nell’interlocuzione costante con l’impresa, sia per le attività di verifica sostanziale delle dichiarazioni, oltre che per la verifica sull’operatività del sistema di gestione del rischio fiscale. Ulteriore aspetto di rilievo affrontato dal provvedimento riguarda il rapporto tra la cooperative compliance e la disciplina degli accordi preventivi. Il provvedimento prevede infatti che le materie oggetto di accordi preventivi, prezzi di trasferimento, valutazione esistenza di una stabile organizzazione, attribuzione utile e perdite alla stabile organizzazione, sono normalmente incluse nell’interlocuzione costante e preventiva nell’ambito della procedura. Tuttatavia è esclusa dalla competenza esclusiva dell’Ufficio Cooperative la disciplina degli accordi preventivi su transfer pricing e stabile organizzazione per i quali l’impresa può presentare autonoma istanza di accordo preventivo e in questo caso la procedura è gestita dall’ufficio accordi preventivi e controversie internazionali. Il provvedimento disciplina poi le modalità di svolgimento della procedura nel corso della quale l’impresa e l’Ufficio concordano delle “soglia di materialità” in relazione alle quali vanno adempiuti gli obblighi di comunicazione delle situazioni suscettibili di generare un rischio fiscale. Il provvedimento stabilisce che le fattispecie “sotto soglia” non devono essere oggetto di comunicazione, poiché i relativi rischi si considerano non significativi e pertanto, in caso di rettifica, si applicherà comunque il beneficio della riduzione a metà delle sanzioni. Infine,la Cooperative Compliance, al pari del ruling internazionale e dell'interpello sui nuovi investimenti, risulta, dunque, essere un utile strumento di dialogo capace di promuovere la distensione dei rapporti fra Fisco e grandi contribuenti e far addivenire le parti ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi tributari prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali.
Il TCF, impostato sulla base dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo di cui al D.lgs. n. 231/2001, promuoverebbe la condivisione di best practices e stimolerebbe, in futuro, lo sviluppo di un unico modello standard da applicare anche alle imprese di minori dimensioni che, notoriamente, non sono abituate alla mappatura e sistematica gestione del rischio fiscale.
Tale nuovo regime promuove, inoltre, una profonda rivisitazione della funzione fiscale in ambito aziendale.
Il responsabile fiscale dovrà, infatti, essere sempre più coinvolto, in chiave strategica, nelle decisioni di business mediante la partecipazione ai boards in cui sono valutate o decise le operazioni e i progetti rilevanti per la società e per i quali la variabile fiscale rappresenta, sotto diversi aspetti, un elemento cruciale. Il focus sulla prevenzione rende, dunque, questo regime particolarmente interessante per le imprese pur presentando, tuttavia, in questa fase di prima applicazione, alcuni evidenti limiti quali, in particolare, l’essere la platea di soggetti coinvolti troppo ristretta e i vantaggi ancora poco “determinanti” nella scelta opzionale di tale regime. L’analisi costi-benefici che verrà effettuata per valutare la convenienza ad entrare nel Regime dell’Adempimento Collaborativo potrebbe infatti risentire dell’assenza di una norma che garantisca la totale disapplicazione delle sanzioni amministrative in luogo del loro dimezzamento e, di conseguenza, scoraggiare quelle aziende che, caratterizzate da una fortissima attenzione ai costi, potrebbero ritenere eccessivamente onerosa la struttura del TCF necessariamente articolata su più linee di controllo e reporting.
Ma chi può accedere a tale istituto? L’accesso, così come specificato dall’Agenzia delle Entrate, è riservato solo ai grandi, o meglio grandissimi, contribuenti ovvero:
• ai soggetti residenti e non residenti che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a dieci miliardi di euro;
• ai soggetti residenti e non residenti che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a un miliardo di euro e che abbiano presentato istanza di adesione al Progetto Pilota del 2013;
• alle imprese che intendano dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi investimenti, di cui all’art. 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, indipendentemente dal volume di affari o di ricavi.
E’ poi consentito l’accesso per trascinamento:
• alle società che, pur in assenza dei requisiti dimensionali sopra citati, esercitino le “funzioni di indirizzo” in relazione al sistema di controllo del rischio fiscale, purché, tuttavia, “tale inclusione sia ritenuta necessaria ai fini di una completa rappresentazione dei processi aziendali”; e
• con il limite dimensionale del miliardo di euro, alle società del gruppo che, a suo tempo, abbiano fatto richiesta di accesso al Progetto Pilota.
Con riferimento, invece, ai requisiti oggettivi valgano le seguenti indicazioni.
Le imprese che vogliono aderire al nuovo regime di adempimento collaborativo devono disporre di un efficace sistema di gestione e controllo del rischio fiscale, cd. Tax Control Framework (“TCF”), con esso intendendosi non l’applicazione di un modello standard, ma un approccio organizzativo e procedurale “individualizzato” ovvero basato sulla propria realtà aziendale. Il sistema deve, dunque, prevedere un’attenta attività di rilevazione e reporting del rischio a tutti i livelli aziendali.
Con il provvedimento del 29 maggio dell’Agenzia, inoltre, si vuole mettere in risalto un altro punto di forza di questo istituto, ovvero la competenza piena ed esclusiva dell’Ufficio di Cooperative Compliance sia per l’esercizio preventivo degli ordinari poteri di controllo, nell’interlocuzione costante con l’impresa, sia per le attività di verifica sostanziale delle dichiarazioni, oltre che per la verifica sull’operatività del sistema di gestione del rischio fiscale. Ulteriore aspetto di rilievo affrontato dal provvedimento riguarda il rapporto tra la cooperative compliance e la disciplina degli accordi preventivi. Il provvedimento prevede infatti che le materie oggetto di accordi preventivi, prezzi di trasferimento, valutazione esistenza di una stabile organizzazione, attribuzione utile e perdite alla stabile organizzazione, sono normalmente incluse nell’interlocuzione costante e preventiva nell’ambito della procedura. Tuttatavia è esclusa dalla competenza esclusiva dell’Ufficio Cooperative la disciplina degli accordi preventivi su transfer pricing e stabile organizzazione per i quali l’impresa può presentare autonoma istanza di accordo preventivo e in questo caso la procedura è gestita dall’ufficio accordi preventivi e controversie internazionali. Il provvedimento disciplina poi le modalità di svolgimento della procedura nel corso della quale l’impresa e l’Ufficio concordano delle “soglia di materialità” in relazione alle quali vanno adempiuti gli obblighi di comunicazione delle situazioni suscettibili di generare un rischio fiscale. Il provvedimento stabilisce che le fattispecie “sotto soglia” non devono essere oggetto di comunicazione, poiché i relativi rischi si considerano non significativi e pertanto, in caso di rettifica, si applicherà comunque il beneficio della riduzione a metà delle sanzioni. Infine,la Cooperative Compliance, al pari del ruling internazionale e dell'interpello sui nuovi investimenti, risulta, dunque, essere un utile strumento di dialogo capace di promuovere la distensione dei rapporti fra Fisco e grandi contribuenti e far addivenire le parti ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi tributari prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali.
Il TCF, impostato sulla base dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo di cui al D.lgs. n. 231/2001, promuoverebbe la condivisione di best practices e stimolerebbe, in futuro, lo sviluppo di un unico modello standard da applicare anche alle imprese di minori dimensioni che, notoriamente, non sono abituate alla mappatura e sistematica gestione del rischio fiscale.
Tale nuovo regime promuove, inoltre, una profonda rivisitazione della funzione fiscale in ambito aziendale.
Il responsabile fiscale dovrà, infatti, essere sempre più coinvolto, in chiave strategica, nelle decisioni di business mediante la partecipazione ai boards in cui sono valutate o decise le operazioni e i progetti rilevanti per la società e per i quali la variabile fiscale rappresenta, sotto diversi aspetti, un elemento cruciale. Il focus sulla prevenzione rende, dunque, questo regime particolarmente interessante per le imprese pur presentando, tuttavia, in questa fase di prima applicazione, alcuni evidenti limiti quali, in particolare, l’essere la platea di soggetti coinvolti troppo ristretta e i vantaggi ancora poco “determinanti” nella scelta opzionale di tale regime. L’analisi costi-benefici che verrà effettuata per valutare la convenienza ad entrare nel Regime dell’Adempimento Collaborativo potrebbe infatti risentire dell’assenza di una norma che garantisca la totale disapplicazione delle sanzioni amministrative in luogo del loro dimezzamento e, di conseguenza, scoraggiare quelle aziende che, caratterizzate da una fortissima attenzione ai costi, potrebbero ritenere eccessivamente onerosa la struttura del TCF necessariamente articolata su più linee di controllo e reporting.
lunedì 22 maggio 2017
La solidarietà tributaria nelle operazioni di scissione
Il comma 12 dell’art. 173 del TUIR (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) prevede che “gli obblighi tributari della società scissa riferibili a periodi di imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione ha effetto sono adempiuti in caso di scissione parziale dalla stessa società scissa o trasferiti, in caso di scissione totale, alla società beneficiaria appositamente designata nell’atto di scissione”. Il successivo comma 13, dopo aver precisato, tra l’altro, che “i controlli, gli accertamenti e ogni altro procedimento relativo ai suddetti obblighi sono svolti nei confronti della società scissa o, nel caso di scissione totale, di quella appositamente designata”, dispone che “le altre società beneficiarie sono responsabili in solido per le imposte, le sanzioni pecuniarie, gli interessi e ogni altro debito e anche nei loro confronti possono essere adottati i provvedimenti cautelari previsti dalla legge. Le società coobbligate hanno facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti, senza oneri di avvisi o di altri adempimenti per l’Amministrazione”.
In merito all’interpretazione delle disposizioni in esame la Suprema Corte ha espresso nel corso del tempo, però, il consolidato orientamento interpretativo in base al quale “in una fattispecie di operazione di scissione parziale, per i debiti fiscali della scissa relativi a periodi d’imposta anteriori l’operazione, rispondono, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 173, comma 13, solidalmente e illimitatamente tutte le società partecipanti la scissione, come del resto conferma dal lato della interpretazione sistematica il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che con riguardo alle somme da pagarsi in conseguenza di violazioni fiscali commesse dalla scissa prevede la solidarietà illimitata di tutte le beneficiarie. E questo differentemente dalla disciplina della responsabilità delle partecipanti la scissione relativa alle obbligazioni civili, per la quale invece l’art. 2506 bis c.c., comma 2 e art. 2506 quater c.c., comma 3, prevedono precisi limiti”.
Ne consegue che, ai fini delle imposte sui redditi, ferma restando la responsabilità “in proprio” della scissa (in caso di scissione parziale) e della beneficiaria designata (per la scissione totale) per i debiti tributari sorti ante scissione, le altre società “beneficiare” – e, cioè, le società diverse dalle prime che hanno partecipato all’operazione di scissione – sono obbligate verso l’erario in solido ed illimitatamente, a prescindere dalle consistenze patrimoniali effettivamente ricevute in sede di scissione e, precisamente, da quanto disposto dal codice civile, che prevede precisi limiti alla responsabilità solidale delle società partecipanti alla scissione, circoscrivendola “al valore effettivo del patrimonio netto” assegnato o rimasto in capo a ciascuna società partecipante all’operazione.
E’ proprio partendo da questa sentenza, in seguito ad una cartella di pagamento notificata da Equitalia alla società beneficiaria di un’operazione di scissione, che la Ctr Campania ha nuovamente affermato che in caso di scissione societaria, considerata la responsabilità solidale e illimitata di tutte le società partecipanti alla scissione per i debiti tributari della società scissa riferiti a periodi d’imposta antecedenti alla data di efficacia della scissione, deve ritenersi legittima l’azione di riscossione diretta nei confronti di una delle società beneficiarie con la notifica della cartella di pagamento, anche quando l’avviso di accertamento presupposto sia stato notificato esclusivamente alla società scissa. Ricostruendo i fatti, la società beneficiaria impugnava la cartella per tre motivi:
• Responsabilità sussidiaria: l’ente di riscossione avrebbe dovuto escutere il proprio credito in via principale nei confronti della società scissa e solo nel caso di mancato pagamento di quest’ultima si sarebbe dovuto rivolgere alla beneficiaria;
• Il limite: la responsabilità della beneficiaria era limitata al valore del patrimonio netto assegnato in sede di scissione e per cui non si poteva fare riferimento ad una responsabilità di natura illimitata;
• Procedimento: la cartella non era stata preceduta da alcun atto con cui la beneficiaria veniva informata della pretesa vantata a carico della scissa.
Il ricorso della beneficiaria viene respinto in quanto la Corte afferma che in caso di scissione, ciascuna società partecipante è obbligata in solido per le somme dovute anteriormente a tale operazione in forza del principio dell’unitarietà dell’imposta e l’articolo 15 del Dlgs 472/97 che, pertanto, prevale, data la natura speciale della norma tributaria, sulle disposizioni del Codice Civile il quale, invece, limita la responsabilità all’entità del patrimonio netto trasferito in sede di scissione. La Corte, inoltre, ha chiarito che l’art. 173 del TUIR deve ritenersi norma di diritto tributario generale non limitata all’imposizione diretta e, quindi, una volta perfezionata la scissione, nessun ulteriore onere di comunicazione sussiste a carico dell’ufficio o di Equitalia. Infine, secondo la Suprema Corte, peraltro, il complessivo quadro normativo offerto dai commi 12 e 13 del citato art. 173 del TUIR sarebbe giustificato sotto un duplice profilo: da un lato, “gli organi delle società beneficiarie sono ben informati della precedente vita societaria” e, in via di principio, “a fronte di una oggettiva conoscibilità degli atti in base alla prosecuzione di vita societaria tra scissa e partecipanti”, dovrebbero essere ordinariamente edotti, usando la debita diligenza, dei procedimenti amministrativi che interessano la scissa. Dall’altro, sarebbe irrazionale imporre all’Amministrazione finanziaria degli aggravi procedimentali “in dipendenza di una trasformazione societaria che l’amministrazione stessa non potrebbe in alcun modo impedire o posporre”, tenendo anche conto che queste operazioni possono “essere realizzate in qualunque stadio dei procedimenti tributari, anche a fini di ostacolo dell’attività impositiva”.
In merito all’interpretazione delle disposizioni in esame la Suprema Corte ha espresso nel corso del tempo, però, il consolidato orientamento interpretativo in base al quale “in una fattispecie di operazione di scissione parziale, per i debiti fiscali della scissa relativi a periodi d’imposta anteriori l’operazione, rispondono, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 173, comma 13, solidalmente e illimitatamente tutte le società partecipanti la scissione, come del resto conferma dal lato della interpretazione sistematica il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che con riguardo alle somme da pagarsi in conseguenza di violazioni fiscali commesse dalla scissa prevede la solidarietà illimitata di tutte le beneficiarie. E questo differentemente dalla disciplina della responsabilità delle partecipanti la scissione relativa alle obbligazioni civili, per la quale invece l’art. 2506 bis c.c., comma 2 e art. 2506 quater c.c., comma 3, prevedono precisi limiti”.
Ne consegue che, ai fini delle imposte sui redditi, ferma restando la responsabilità “in proprio” della scissa (in caso di scissione parziale) e della beneficiaria designata (per la scissione totale) per i debiti tributari sorti ante scissione, le altre società “beneficiare” – e, cioè, le società diverse dalle prime che hanno partecipato all’operazione di scissione – sono obbligate verso l’erario in solido ed illimitatamente, a prescindere dalle consistenze patrimoniali effettivamente ricevute in sede di scissione e, precisamente, da quanto disposto dal codice civile, che prevede precisi limiti alla responsabilità solidale delle società partecipanti alla scissione, circoscrivendola “al valore effettivo del patrimonio netto” assegnato o rimasto in capo a ciascuna società partecipante all’operazione.
E’ proprio partendo da questa sentenza, in seguito ad una cartella di pagamento notificata da Equitalia alla società beneficiaria di un’operazione di scissione, che la Ctr Campania ha nuovamente affermato che in caso di scissione societaria, considerata la responsabilità solidale e illimitata di tutte le società partecipanti alla scissione per i debiti tributari della società scissa riferiti a periodi d’imposta antecedenti alla data di efficacia della scissione, deve ritenersi legittima l’azione di riscossione diretta nei confronti di una delle società beneficiarie con la notifica della cartella di pagamento, anche quando l’avviso di accertamento presupposto sia stato notificato esclusivamente alla società scissa. Ricostruendo i fatti, la società beneficiaria impugnava la cartella per tre motivi:
• Responsabilità sussidiaria: l’ente di riscossione avrebbe dovuto escutere il proprio credito in via principale nei confronti della società scissa e solo nel caso di mancato pagamento di quest’ultima si sarebbe dovuto rivolgere alla beneficiaria;
• Il limite: la responsabilità della beneficiaria era limitata al valore del patrimonio netto assegnato in sede di scissione e per cui non si poteva fare riferimento ad una responsabilità di natura illimitata;
• Procedimento: la cartella non era stata preceduta da alcun atto con cui la beneficiaria veniva informata della pretesa vantata a carico della scissa.
Il ricorso della beneficiaria viene respinto in quanto la Corte afferma che in caso di scissione, ciascuna società partecipante è obbligata in solido per le somme dovute anteriormente a tale operazione in forza del principio dell’unitarietà dell’imposta e l’articolo 15 del Dlgs 472/97 che, pertanto, prevale, data la natura speciale della norma tributaria, sulle disposizioni del Codice Civile il quale, invece, limita la responsabilità all’entità del patrimonio netto trasferito in sede di scissione. La Corte, inoltre, ha chiarito che l’art. 173 del TUIR deve ritenersi norma di diritto tributario generale non limitata all’imposizione diretta e, quindi, una volta perfezionata la scissione, nessun ulteriore onere di comunicazione sussiste a carico dell’ufficio o di Equitalia. Infine, secondo la Suprema Corte, peraltro, il complessivo quadro normativo offerto dai commi 12 e 13 del citato art. 173 del TUIR sarebbe giustificato sotto un duplice profilo: da un lato, “gli organi delle società beneficiarie sono ben informati della precedente vita societaria” e, in via di principio, “a fronte di una oggettiva conoscibilità degli atti in base alla prosecuzione di vita societaria tra scissa e partecipanti”, dovrebbero essere ordinariamente edotti, usando la debita diligenza, dei procedimenti amministrativi che interessano la scissa. Dall’altro, sarebbe irrazionale imporre all’Amministrazione finanziaria degli aggravi procedimentali “in dipendenza di una trasformazione societaria che l’amministrazione stessa non potrebbe in alcun modo impedire o posporre”, tenendo anche conto che queste operazioni possono “essere realizzate in qualunque stadio dei procedimenti tributari, anche a fini di ostacolo dell’attività impositiva”.
giovedì 11 maggio 2017
Ampliamento Split Payment
Con l’ampliamento della platea dei contribuenti soggetti al meccanismo dello split payment previsto dal Dl 50/2017, la gestione del credito iva diventa sempre più problematica sia sul piano finanziario che sul piano economico. Tale meccanismo, in effetti, prevede che il fornitore di un contribuente soggetto a split deve fatturare al cliente le proprie operazioni evidenziando l’Iva in fattura, ma l’imposta non verrà né versata né liquidata; il cliente a sua volta scinderà il pagamento della fattura regolando al fornitore il solo imponibile e versando all’erario la relativa imposta. Il meccanismo, quindi, incide sul piano finanziario del fornitore perche gli richiede di anticipare l’imposta al suo fornitore senza, però, riottenere direttamente la provvista dal proprio cliente e nella maggior parte dei casi, il fornitore si ritroverà a credito e quindi, per riottenere le somme anticipate, dovrà chiederne il rimborso o le potrà utilizzare in compensazione ma nei limiti imposti dalla legge. Queste due soluzioni, però, per motivi tecnici e per vincoli di legge, non consentono mai un recupero immediato di tali somme ed è proprio partendo da questa situazione che si manifestano degli effetti economici di non poco conto per il fornitore. Quest’ultimo, infatti, per anticipare il pagamento dell’Iva dovrà chiedere un finanziamento al sistema creditizio, che potrebbe chiedere, a sua volta, maggiori interessi in quanto il finanziamento non è più collegato con un credito immediato. Questo meccanismo, in sostanza, introdotto, e che a breve sarà esteso ad una platea sempre più ampia di soggetti, se da un lato nasce per combattere l’evasione, creando quindi delle entrate sempre più cospicue per l’Erario, dall’altro lato, invece, amplierà per gli operatori le criticità connesse alla gestione del credito. Questa situazione nella sua nuova estensione mette sempre più in crisi il principio di neutralità dell’imposta previsto dalla direttiva Iva (2006/112/Ce). Inoltre, l'ampliamento dei soggetti che rientreranno nell'ambito operativo dello split payment, previsto dal DL, a partire dalle fatture emesse dal 1° luglio prossimo, impone non indifferenti oneri di adeguamento dei sistemi contabili, ma non essendo allo stato attuale chiaramente identificabili i soggetti interessati non è neanche semplice procedere a questo adeguamento entro la scadenza prevista. Secondo Assonime, è pertanto necessario che l’Amministrazione finanziaria pubblichi un elenco ufficiale di tali soggetti e che l’entrata in vigore di tale misura sia differita di almeno tre mesi e comunque non prima di tre mesi dalla pubblicazione del decreto ministeriale di attuazione. Lo split payment, che attualmente riguarda, sotto il profilo soggettivo, un numero ristretto di enti pubblici e, per converso, un limitato numero di soggetti IVA fornitori degli stessi, con la nuova Manovra correttiva si applicherà alle operazioni effettuate nei confronti di tutti gli enti e soggetti pubblici inclusi nel Conto economico consolidato della Pubblica amministrazione, di cui all’art.1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità pubblica), elaborato dall’ISTAT. Si allarga così in maniera esponenziale il numero dei soggetti “pubblici” nei confronti dei quali un altrettanto esponenziale numero di imprese fornitrici di beni o servizi devono applicare l’IVA con il sistema della scissione dei pagamenti. Viene previsto poi un ulteriore allargamento della platea dei soggetti coinvolti nel sistema dello split payment, comprendendovi anche soggetti non facenti parte della Pubblica Amministrazione, ma aventi comunque, al pari di questa, una “elevata affidabilità fiscale” e, in particolare:
a) le società controllate direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dai Ministeri;
b) le società controllate direttamente dalle regioni, dalle province, dalle città metropolitane, dai comuni e dalle unioni di comuni;
c) le società controllate, direttamente o indirettamente, dalle società indicate nelle lettere a) e b);
d) le società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana (con un decreto ministeriale può essere individuato anche un indice diverso).
Tuttavia, ciò che è certo è che le imprese dovranno frequentemente monitorare la natura dei loro clienti, oltre che, ovviamente, la propria, per verificare se, nella veste di committenti, possono ricevere fatture con rivalsa dell’Iva o se devono essi stessi provvedere a versare l’Iva all’Erario, non addebitata dal fornitore e, al contempo, se in veste di fornitore emettere fattura senza Iva. Per l’operatività delle imprese, questo sistema appare quanto mai gravoso, determinando un aumento rilevante dei costi amministrativi che appare in contrasto con il principio basilare dell’Iva secondo cui il sistema del tributo dovrebbe contenere quanto più possibile i costi relativi alla sua applicazione.
a) le società controllate direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dai Ministeri;
b) le società controllate direttamente dalle regioni, dalle province, dalle città metropolitane, dai comuni e dalle unioni di comuni;
c) le società controllate, direttamente o indirettamente, dalle società indicate nelle lettere a) e b);
d) le società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana (con un decreto ministeriale può essere individuato anche un indice diverso).
Tuttavia, ciò che è certo è che le imprese dovranno frequentemente monitorare la natura dei loro clienti, oltre che, ovviamente, la propria, per verificare se, nella veste di committenti, possono ricevere fatture con rivalsa dell’Iva o se devono essi stessi provvedere a versare l’Iva all’Erario, non addebitata dal fornitore e, al contempo, se in veste di fornitore emettere fattura senza Iva. Per l’operatività delle imprese, questo sistema appare quanto mai gravoso, determinando un aumento rilevante dei costi amministrativi che appare in contrasto con il principio basilare dell’Iva secondo cui il sistema del tributo dovrebbe contenere quanto più possibile i costi relativi alla sua applicazione.
martedì 2 maggio 2017
Il potere di gestione dei soci
In una società a responsabilità limitata dotata di consiglio di amministrazione, la decisione dei soci che deliberi su di un atto gestionale è sufficiente affinchè il rappresentante legale possa legittimamente compiere l’atto deliberato o è necessaria anche l’adozione di una delibera dell’organo amministrativo? La soluzione al quesito, spesso causa di forte incertezza, deve essere ricavata dall’esame e dal coordinamento della previsione dell’art. 2475 I comma c.c. che recita “salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci presa ai sensi dell'articolo 2479” con quella dell’art. 2479 I comma c.c. che recita “i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione”. Il Consiglio Notarile di Firenze, a tal proposito, ha emanato un nuovo principio di comportamento che i notai devono osservare quando ricevono atti costitutivi di società o verbalizzano eventi assembleari. Il caso in considerazione riguarda le decisioni dei soci nella gestione della società. Secondo i notai fiorentini, quando la decisione è di natura gestionale, essi sono investiti in via esclusiva dalla questione e ciò “spoglia” l’organo amministrativo delle proprie competenze e autorità. Più in particolare, qualora i soci della Srl adottino una decisione sulla gestione, sia perché l’adozione di tale gestione sia voluta dai soci stessi, sia perché la competenza decisionale dei soci in materia derivi dallo statuto della società, allora:
• I soci possono delegare uno qualsiasi degli amministratori a dare attuazione alla loro decisione, la quale, soprattutto, non ha bisogno di una ulteriore deliberazione dell’organo amministrativo per essere approvata;
• Se, per dare attuazione alla decisione assunta dai soci, occorre operare in rappresentanza della società, ad agire deve essere un amministratore che per legge o per statuto, abbia la rappresentanza della società, ma, probabilmente, in tal caso i soci possono investire della rappresentanza della società uno qualsiasi degli amministratori.
E’ quindi possibile che la decisione dei soci deleghi un componente del consiglio di amministrazione che sia diverso dal rappresentante legale. E’ bene ricordare, comunque, che affinché vengano applicate tali deroghe, è necessario raggiungere nelle decisione dei soci il quorum di un terzo del capitale sociale oppure un’aliquota di capitale inferiore ad un terzo ma prevista in statuto. La naturale competenza gestoria dei soci e la assoluta flessibilità consentita circa la distribuzione dei poteri tra i vari soggetti in campo, fa ritenere autosufficiente il potere gestionale dei soci e, quindi, non sussistente alcun ulteriore potere deliberativo dell’organo amministrativo sull’argomento.
Con la società a responsabilità limitata il legislatore della riforma del 2003 ha costruito uno strumento estremamente duttile nel quale i soci sono posti al centro della scena quali veri arbitri delle sue sorti, ferma restando la possibilità di articolare le norme statutarie in maniera più rigida e corporativa sul modello della società per azioni. Il potere dei soci di decidere su qualsiasi materia riguardante la vita della società, ivi compresa la gestione della stessa è uno degli strumenti più forti che la riforma ha utilizzato per adeguarsi alla richiesta del legislatore delegante di esaltare la centralità dei soci, disallineando così la società a responsabilità limitata dalla società per azioni nella quale l’interferenza gestionale dei soci è fortemente limitata dalle previsioni di cui agli artt. 2364 n. 5 e 2380 bis comma I, c.c.. Come è stato acutamente notato la competenza generale dei soci è naturale e non richiede previsioni statutarie; ne consegue che i soci titolari della percentuale qualificata possono, “senza dover attendere l’iniziativa degli amministratori, e anche contro la diversa valutazione di questi ultimi, richiedere un pronunciamento su qualsiasi materia, anche gestoria, da parte dei soci medesimi”. Si assiste, pertanto, ad uno spostamento della competenza gestoria dall’organo amministrativo ai soci, che va a rompere la rigidità tipica della società per azioni, ove gli amministratori hanno una granitica esclusiva sull’azione gestoria, ma che, tuttavia, pone delicati problemi di coordinamento con la funzione dell’organo amministrativo e con la responsabilità dei suoi componenti. Lo spostamento, però, sui soci del potere gestorio per previsione statutaria o successivamente alla provocatio ad populum pone problemi di coordinamento con la funzione dell’organo amministrativo e con la responsabilità dei suoi componenti. In particolare sul tema della responsabilità la questione si fa delicata, posto che gli amministratori restano responsabili per gli atti compiuti in esecuzione delle decisioni dei soci su atti gestionali. Infine, qualora l’attuazione della decisione dei soci comporti che la Srl debba essere rappresentata verso i terzi, il potere di agire in nome e per conto della società spetta all’amministratore cui la legge o lo statuto attribuiscano la rappresentanza della società. Tuttavia, secondo questo nuovo orientamento, appare esservi spazio per ritenere che la decisione dei soci nell’ambito della gestione sociale possa individuare per la sua esecuzione anche un amministratore non già dotato, per legge o per statuto, di rappresentanza legale. L’esercizio di tale potere da parte dei soci potrebbe, infatti, legittimare l’attribuzione agli stessi dell’ulteriore prerogativa di individuare senza particolari limitazioni anche l’amministratore cui attribuire la rappresentanza della società per l’esecuzione delle decisioni dei soci stessi.
• I soci possono delegare uno qualsiasi degli amministratori a dare attuazione alla loro decisione, la quale, soprattutto, non ha bisogno di una ulteriore deliberazione dell’organo amministrativo per essere approvata;
• Se, per dare attuazione alla decisione assunta dai soci, occorre operare in rappresentanza della società, ad agire deve essere un amministratore che per legge o per statuto, abbia la rappresentanza della società, ma, probabilmente, in tal caso i soci possono investire della rappresentanza della società uno qualsiasi degli amministratori.
E’ quindi possibile che la decisione dei soci deleghi un componente del consiglio di amministrazione che sia diverso dal rappresentante legale. E’ bene ricordare, comunque, che affinché vengano applicate tali deroghe, è necessario raggiungere nelle decisione dei soci il quorum di un terzo del capitale sociale oppure un’aliquota di capitale inferiore ad un terzo ma prevista in statuto. La naturale competenza gestoria dei soci e la assoluta flessibilità consentita circa la distribuzione dei poteri tra i vari soggetti in campo, fa ritenere autosufficiente il potere gestionale dei soci e, quindi, non sussistente alcun ulteriore potere deliberativo dell’organo amministrativo sull’argomento.
Con la società a responsabilità limitata il legislatore della riforma del 2003 ha costruito uno strumento estremamente duttile nel quale i soci sono posti al centro della scena quali veri arbitri delle sue sorti, ferma restando la possibilità di articolare le norme statutarie in maniera più rigida e corporativa sul modello della società per azioni. Il potere dei soci di decidere su qualsiasi materia riguardante la vita della società, ivi compresa la gestione della stessa è uno degli strumenti più forti che la riforma ha utilizzato per adeguarsi alla richiesta del legislatore delegante di esaltare la centralità dei soci, disallineando così la società a responsabilità limitata dalla società per azioni nella quale l’interferenza gestionale dei soci è fortemente limitata dalle previsioni di cui agli artt. 2364 n. 5 e 2380 bis comma I, c.c.. Come è stato acutamente notato la competenza generale dei soci è naturale e non richiede previsioni statutarie; ne consegue che i soci titolari della percentuale qualificata possono, “senza dover attendere l’iniziativa degli amministratori, e anche contro la diversa valutazione di questi ultimi, richiedere un pronunciamento su qualsiasi materia, anche gestoria, da parte dei soci medesimi”. Si assiste, pertanto, ad uno spostamento della competenza gestoria dall’organo amministrativo ai soci, che va a rompere la rigidità tipica della società per azioni, ove gli amministratori hanno una granitica esclusiva sull’azione gestoria, ma che, tuttavia, pone delicati problemi di coordinamento con la funzione dell’organo amministrativo e con la responsabilità dei suoi componenti. Lo spostamento, però, sui soci del potere gestorio per previsione statutaria o successivamente alla provocatio ad populum pone problemi di coordinamento con la funzione dell’organo amministrativo e con la responsabilità dei suoi componenti. In particolare sul tema della responsabilità la questione si fa delicata, posto che gli amministratori restano responsabili per gli atti compiuti in esecuzione delle decisioni dei soci su atti gestionali. Infine, qualora l’attuazione della decisione dei soci comporti che la Srl debba essere rappresentata verso i terzi, il potere di agire in nome e per conto della società spetta all’amministratore cui la legge o lo statuto attribuiscano la rappresentanza della società. Tuttavia, secondo questo nuovo orientamento, appare esservi spazio per ritenere che la decisione dei soci nell’ambito della gestione sociale possa individuare per la sua esecuzione anche un amministratore non già dotato, per legge o per statuto, di rappresentanza legale. L’esercizio di tale potere da parte dei soci potrebbe, infatti, legittimare l’attribuzione agli stessi dell’ulteriore prerogativa di individuare senza particolari limitazioni anche l’amministratore cui attribuire la rappresentanza della società per l’esecuzione delle decisioni dei soci stessi.
lunedì 20 marzo 2017
Bilancio: l'eliminazione della sezione straordinaria
L’eliminazione della sezione straordinaria del Conto Economico, a seguito delle previsioni recate dal D.Lgs. n. 139/2015, pone interessanti questioni interpretative che riguardano non soltanto la conseguente nuova impostazione contabile e i relativi effetti, anche in termini di intellegibilità del risultato economico dell’esercizio, ma anche i riflessi fiscali in materia di imposte sui redditi e imposta regionale sulle attività produttive. Una delle principali novità recate dal D.Lgs. n. 139/2015 discende direttamente dalla Direttiva UE 34/2013 e, almeno in apparenza, costituisce un ulteriore tassello del processo di avvicinamento ai principi contabili internazionali IAS/ IFRS, che non prevedono ormai da tempo la possibilità di evidenziare componenti straordinarie all’interno del Conto Economico.
L’eliminazione della sezione straordinaria, per certi versi, può essere accolta con favore. Da un lato, il venir meno dell’esigenza di attribuire una connotazione “straordinaria” ai costi e ricavi rilevati nell’esercizio semplifica l’attività del redattore del bilancio. Semplifica, tutto sommato, anche il compito di chi il bilancio lo legge, considerato che gli indicatori di performance veicolati dal Conto Economico non si prestano ad essere “inquinati” da valutazioni soggettive. Da un altro lato, l’eliminazione della sezione straordinaria consente di superare certe storture della precedente disciplina, come quella per cui si consideravano necessariamente straordinari i costi di competenza dell’esercizio precedente, ma rilevati in esercizi successivi, con il risultato che componenti tipicamente ordinarie come le sopravvenienze passive relative a insufficienti stanziamenti a fatture da ricevere finivano per essere sistemicamente sottratte al risultato operativo dell’impresa. Dal punto di vista tributario, la soppressione della sezione straordinaria e la rilevazione delle voci prima allocate nell’area straordinaria nelle altre voci di Conto Economico esplica i maggiori effetti ai fini IRAP, posto che le regole di determinazione della base imponibile IRES operano, in linea generale, indipendentemente dalla diversa classificazione delle componenti di costo e di ricavo, eccezion fatta per quelle norme che rinviano espressamente alle macrovoci A e B del Conto Economico. La soppressione della sezione straordinaria può determinare l'inclusione di tali voci nel calcolo del valore della produzione netta. Infatti, l’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997 stabilisce che la base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lett. A) e B) dell’art. 2425 del Codice civile, con esclusione di alcune voci, così come risultanti dal Conto Economico dell’esercizio. Si tratta della c.d. presa diretta dal bilancio. Tuttavia, l’impatto sulla determinazione della base imponibile della “riclassificazione” delle componenti di Conto Economico dall’area straordinaria a quella caratteristica va analizzato considerando che la normativa IRAP prevede, in ogni caso, l’espressa rilevanza nel computo della base imponibile di alcune componenti di costo e di ricavo indipendentemente dalla classificazione di bilancio. Trova, infatti, applicazione il c.d. principio di correlazione (art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 446/1997), secondo il quale concorrono comunque alla formazione della base imponibile le componenti positive e negative classificabili in voci diverse da quelle ordinarie del Conto Economico laddove correlate a componenti rilevanti della base imponibile di periodi d’imposta precedenti o successivi, essendo quindi ininfluente la loro classificazione in bilancio. In tal modo si vuole evitare che determinate componenti risultino escluse dalla base imponibile del tributo per il solo fatto che sono state collocate in voci di Conto Economico non rilevanti ai fini IRAP. Tale disposizione consente di ristabilire una situazione di continuità e di omogeneità nella determinazione dell’imponibile IRAP. Può essere il caso, ad esempio, dei resi e degli sconti, riferiti a vendite di merci dei precedenti esercizi, prima classificati nella voce E21 del Conto Economico; oppure delle rivalutazioni di carattere straordinario delle rimanenze di magazzino, conseguenti al mutamento del criterio valutativo in precedenza adottato, prima classificate nella voce E20. Ciò detto, vi potrebbero, comunque, essere componenti positive e negative, prima imputate nell’area straordinaria che non sono correlate a componenti ordinarie degli esercizi precedenti o successivi, e che, quindi, andranno a confluire nell’area ordinaria. Si pensi, ad esempio, agli oneri per eventi naturali, ora imputate alla voce B14 - oneri diversi di gestione. Tale effetto, per talune fattispecie, è stato “scongiurato” a seguito delle istruzioni dell’OIC. Si pensi alle sopravvenienze attive realizzate nell’ambito di una procedura di ristrutturazione del debito che, prima della revisione del D.Lgs. n. 139/2015, andavano iscritte nella voce E.20 del Conto Economico e per le quali non trovava applicazione il principio della correlazione. Se tali sopravvenienze attive fossero confluite nelle voci del valore della produzione sarebbero state attratte alla base imponibile IRAP in modo palesemente incoerente in quanto tale posta appartiene all’aspetto finanziario della capacità di far fronte ai propri debiti e, quindi, ad una vicenda che, così come avviene per le perdite su crediti, dovrebbe essere estranea rispetto al valore della produzione. Invece, come visto, secondo i nuovi principi contabili tale posta confluisce tra i componenti di natura finanziaria e, quindi, resta comunque esclusa dal valore della produzione netta IRAP.
Questa nuova modalità di classificazione incide anche sulla determinazione del:
• risultato operativo lordo dello schema di conto economico, quale differenza tra ricavi della voce A e i costi della voce B, che assume rilievo sia nei rapporti verso i terzi, ovvero banche, dipendenti, fornitori, clienti, sia ai fini fiscali e quindi per il calcolo dell'Irap e degli interessi passivi deducibili;
• tax rate, quale rapporto tra il risultato ante imposte e le imposte dirette dell'esercizio.
Secondo le precedenti regole un altro elemento di obbligatoria rilevazione nella sezione straordinaria era rappresentato dalle imposte relative agli esercizi precedenti. L’OIC 12 prevede ora un regime differenziato a seconda della natura dell’imposta:
• gli oneri per imposte dirette relative agli esercizi precedenti, incrementati dai relativi oneri accessori (sanzioni e interessi), nonché le componenti reddituali derivanti dalla definizione di un contenzioso, si classificano nel Conto Economico alla voce 20 “imposte sul reddito d’esercizio correnti, differite e anticipate”;
• gli oneri per imposte indirette relative agli esercizi precedenti (anche in questo caso incrementati da sanzioni e interessi), e le perdite derivanti dalla definizione di un contenzioso, sono classificati, in coerenza con il trattamento riservato agli oneri per imposte indirette dell’esercizio corrente, nella voce B14) Oneri diversi di gestione. La differenza positiva o negativa derivante dalla definizione di un contenzioso o dell'accertamento a fronte di cui era stato stanziato un fondo imposte va rispettivamente classificato nella voce A5) Altri ricavi e proventi, ovvero nella stessa voce B14) Oneri diversi di gestione.
Il nuovo OIC 12 prevede, quindi, una distinta collocazione per le imposte, dirette o indirette, degli esercizi precedenti, derivanti da iscrizioni a ruolo, avvisi di liquidazione, avvisi di pagamento, avvisi di accertamento o di rettifica e altre situazioni di contenzioso, o dall'utilizzo di strumenti deflattivi del contenzioso, o dovute a seguito di ravvedimento operoso nelle sue diverse forme tecniche e temporale ( ad esempio, post consegna del processo verbale di contestazione al termine della verifica fiscale).
Per ciò che riguarda le imposte dirette alla voce 20 deve essere imputata anche la differenza positiva o negativa derivante dalla definizione di un contenzioso o di un accertamento, a fronte fronte del quale era stato stanziato un fondo imposte. In questo modo, però, il tax rate della società diventa di lettura più complessa, poiché la voce 20 comprenderà anche le sanzioni, gli interessi e le imposte relative ad esercizi precedenti. A fronte di ciò, interviene il principio contabile 25 il quale richiede che la voce 20 sia divisa in quattro voci distinte, da commentare in Nota Integrativa:
• imposte correnti;
• imposte relative ad esercizi precedenti;
• imposte differite ed anticipate;
• proventi da consolidato;
e la contropartita patrimoniale delle imposte relative ad anni precedenti può essere costituita dalla voce B2 Fondo Imposte o dalla voce D12 Debiti Tributari, a seconda delle caratteristiche delle passività tributarie: se probabili o di ammontare indeterminato nel fondo imposte, se certe e determinate tra i debiti tributari.
Analizzando gli aspetti della deducibilità invece, il regime della deduzione dal reddito delle imposte liquidate da contribuente o accertate è previsto dall'articolo 99 del TUIR, mentre per la deducibilità di interessi e sanzioni occorre rifarsi ai principi dell'ordinamento.
Per ciò che concerne le IMPOSTE sui redditi nazionali (Irpef, addizionali, Iri e Ires), queste sono indeducibili, così come quelle pagate all'estero, in quanto normalmente destinate ad essere recuperate mediante il credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero, per evitare la doppia imposizione giuridica. Sono indeducibili, continuando, le imposte per le quali la rivalsa è obbligatoria (Iva) e per le quali la rivalsa è facoltativa; mentre l'Imu e l'Irap, inizialmente indeducibili, in quanto la prima imposta patrimoniale e non reddituale e la seconda sostitutiva di numerose altre imposte che tradizionalmente integravano l'imposizione su base reddituale, sono ad oggi parzialmente deducibili, in quanto viene prevista la deducibilità dell'Imu su immobili di natura strumentale e per l'Irap sul costo del lavoro e sugli interessi. Sono invece deducibili l'iva indetraibile, per destinazione oggettiva o da pro-rata, e le imposte d'atto. Occorre distinguere, inoltre, le sanzioni amministrative da quelle contrattuali:
• le prime si considerano indeducibili per ragioni di principio, in quanto si considerano carenti sia del requisito dell'inerenza, sia perchè esse sono sostenute non per porre in essere l'attività d'impresa ma in conseguenza della stessa quando connotata da illeicità, sia perchè, infine, la funzione repressiva-punitiva della sanzione sarebbe svilita dalla sua deducibilità fiscale;
• le seconde sono state, invece, ritenute deducibili.
Infine, salvo diversa disposizione, gli interessi passivi correlati alle imposte o maggiori imposte, dovute in base alla liquidazione, al controllo formale della dichiarazione o all'accertamento possono considerarsi con funzione compensativa del ritardo nell'esazione dei tributi e perciò deducibile per l'intero loro ammontare in quanto non soggetti all'articolo 96 del TUIR. Ovviamente il tema del criterio di imputazione temporale si pone per le sole imposte deducibili. Per esse, il legislatore, con l'articolo 99 ha scelto il criterio di cassa, con un conseguente effetto di fiscalità differita rispetto al bilancio, da redigere secondo il diverso principio di competenza. In deroga al principio di cassa, si può anticipare la deduzione medianti accantonamenti commisurati alle imposte dichiarate, accertate o risultanti da sentenza, anche se non ancora pagate. Inoltre, in luogo del principio di cassa si applica quello di competenza per quei tributi che, purchè pagati, costituiscano oneri accessori ai beni o servizi acquistati e quindi destinati ad essere capitalizzati (come per l'iva indetraibile e le imposte d'atto nel caso di acquisto di un bene ammortizzabile, o di un terreno o di un'azienda) o inclusi nel valore dei beni merce (dazi doganali).
L’eliminazione della sezione straordinaria, per certi versi, può essere accolta con favore. Da un lato, il venir meno dell’esigenza di attribuire una connotazione “straordinaria” ai costi e ricavi rilevati nell’esercizio semplifica l’attività del redattore del bilancio. Semplifica, tutto sommato, anche il compito di chi il bilancio lo legge, considerato che gli indicatori di performance veicolati dal Conto Economico non si prestano ad essere “inquinati” da valutazioni soggettive. Da un altro lato, l’eliminazione della sezione straordinaria consente di superare certe storture della precedente disciplina, come quella per cui si consideravano necessariamente straordinari i costi di competenza dell’esercizio precedente, ma rilevati in esercizi successivi, con il risultato che componenti tipicamente ordinarie come le sopravvenienze passive relative a insufficienti stanziamenti a fatture da ricevere finivano per essere sistemicamente sottratte al risultato operativo dell’impresa. Dal punto di vista tributario, la soppressione della sezione straordinaria e la rilevazione delle voci prima allocate nell’area straordinaria nelle altre voci di Conto Economico esplica i maggiori effetti ai fini IRAP, posto che le regole di determinazione della base imponibile IRES operano, in linea generale, indipendentemente dalla diversa classificazione delle componenti di costo e di ricavo, eccezion fatta per quelle norme che rinviano espressamente alle macrovoci A e B del Conto Economico. La soppressione della sezione straordinaria può determinare l'inclusione di tali voci nel calcolo del valore della produzione netta. Infatti, l’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997 stabilisce che la base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lett. A) e B) dell’art. 2425 del Codice civile, con esclusione di alcune voci, così come risultanti dal Conto Economico dell’esercizio. Si tratta della c.d. presa diretta dal bilancio. Tuttavia, l’impatto sulla determinazione della base imponibile della “riclassificazione” delle componenti di Conto Economico dall’area straordinaria a quella caratteristica va analizzato considerando che la normativa IRAP prevede, in ogni caso, l’espressa rilevanza nel computo della base imponibile di alcune componenti di costo e di ricavo indipendentemente dalla classificazione di bilancio. Trova, infatti, applicazione il c.d. principio di correlazione (art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 446/1997), secondo il quale concorrono comunque alla formazione della base imponibile le componenti positive e negative classificabili in voci diverse da quelle ordinarie del Conto Economico laddove correlate a componenti rilevanti della base imponibile di periodi d’imposta precedenti o successivi, essendo quindi ininfluente la loro classificazione in bilancio. In tal modo si vuole evitare che determinate componenti risultino escluse dalla base imponibile del tributo per il solo fatto che sono state collocate in voci di Conto Economico non rilevanti ai fini IRAP. Tale disposizione consente di ristabilire una situazione di continuità e di omogeneità nella determinazione dell’imponibile IRAP. Può essere il caso, ad esempio, dei resi e degli sconti, riferiti a vendite di merci dei precedenti esercizi, prima classificati nella voce E21 del Conto Economico; oppure delle rivalutazioni di carattere straordinario delle rimanenze di magazzino, conseguenti al mutamento del criterio valutativo in precedenza adottato, prima classificate nella voce E20. Ciò detto, vi potrebbero, comunque, essere componenti positive e negative, prima imputate nell’area straordinaria che non sono correlate a componenti ordinarie degli esercizi precedenti o successivi, e che, quindi, andranno a confluire nell’area ordinaria. Si pensi, ad esempio, agli oneri per eventi naturali, ora imputate alla voce B14 - oneri diversi di gestione. Tale effetto, per talune fattispecie, è stato “scongiurato” a seguito delle istruzioni dell’OIC. Si pensi alle sopravvenienze attive realizzate nell’ambito di una procedura di ristrutturazione del debito che, prima della revisione del D.Lgs. n. 139/2015, andavano iscritte nella voce E.20 del Conto Economico e per le quali non trovava applicazione il principio della correlazione. Se tali sopravvenienze attive fossero confluite nelle voci del valore della produzione sarebbero state attratte alla base imponibile IRAP in modo palesemente incoerente in quanto tale posta appartiene all’aspetto finanziario della capacità di far fronte ai propri debiti e, quindi, ad una vicenda che, così come avviene per le perdite su crediti, dovrebbe essere estranea rispetto al valore della produzione. Invece, come visto, secondo i nuovi principi contabili tale posta confluisce tra i componenti di natura finanziaria e, quindi, resta comunque esclusa dal valore della produzione netta IRAP.
Questa nuova modalità di classificazione incide anche sulla determinazione del:
• risultato operativo lordo dello schema di conto economico, quale differenza tra ricavi della voce A e i costi della voce B, che assume rilievo sia nei rapporti verso i terzi, ovvero banche, dipendenti, fornitori, clienti, sia ai fini fiscali e quindi per il calcolo dell'Irap e degli interessi passivi deducibili;
• tax rate, quale rapporto tra il risultato ante imposte e le imposte dirette dell'esercizio.
Secondo le precedenti regole un altro elemento di obbligatoria rilevazione nella sezione straordinaria era rappresentato dalle imposte relative agli esercizi precedenti. L’OIC 12 prevede ora un regime differenziato a seconda della natura dell’imposta:
• gli oneri per imposte dirette relative agli esercizi precedenti, incrementati dai relativi oneri accessori (sanzioni e interessi), nonché le componenti reddituali derivanti dalla definizione di un contenzioso, si classificano nel Conto Economico alla voce 20 “imposte sul reddito d’esercizio correnti, differite e anticipate”;
• gli oneri per imposte indirette relative agli esercizi precedenti (anche in questo caso incrementati da sanzioni e interessi), e le perdite derivanti dalla definizione di un contenzioso, sono classificati, in coerenza con il trattamento riservato agli oneri per imposte indirette dell’esercizio corrente, nella voce B14) Oneri diversi di gestione. La differenza positiva o negativa derivante dalla definizione di un contenzioso o dell'accertamento a fronte di cui era stato stanziato un fondo imposte va rispettivamente classificato nella voce A5) Altri ricavi e proventi, ovvero nella stessa voce B14) Oneri diversi di gestione.
Il nuovo OIC 12 prevede, quindi, una distinta collocazione per le imposte, dirette o indirette, degli esercizi precedenti, derivanti da iscrizioni a ruolo, avvisi di liquidazione, avvisi di pagamento, avvisi di accertamento o di rettifica e altre situazioni di contenzioso, o dall'utilizzo di strumenti deflattivi del contenzioso, o dovute a seguito di ravvedimento operoso nelle sue diverse forme tecniche e temporale ( ad esempio, post consegna del processo verbale di contestazione al termine della verifica fiscale).
Per ciò che riguarda le imposte dirette alla voce 20 deve essere imputata anche la differenza positiva o negativa derivante dalla definizione di un contenzioso o di un accertamento, a fronte fronte del quale era stato stanziato un fondo imposte. In questo modo, però, il tax rate della società diventa di lettura più complessa, poiché la voce 20 comprenderà anche le sanzioni, gli interessi e le imposte relative ad esercizi precedenti. A fronte di ciò, interviene il principio contabile 25 il quale richiede che la voce 20 sia divisa in quattro voci distinte, da commentare in Nota Integrativa:
• imposte correnti;
• imposte relative ad esercizi precedenti;
• imposte differite ed anticipate;
• proventi da consolidato;
e la contropartita patrimoniale delle imposte relative ad anni precedenti può essere costituita dalla voce B2 Fondo Imposte o dalla voce D12 Debiti Tributari, a seconda delle caratteristiche delle passività tributarie: se probabili o di ammontare indeterminato nel fondo imposte, se certe e determinate tra i debiti tributari.
Analizzando gli aspetti della deducibilità invece, il regime della deduzione dal reddito delle imposte liquidate da contribuente o accertate è previsto dall'articolo 99 del TUIR, mentre per la deducibilità di interessi e sanzioni occorre rifarsi ai principi dell'ordinamento.
Per ciò che concerne le IMPOSTE sui redditi nazionali (Irpef, addizionali, Iri e Ires), queste sono indeducibili, così come quelle pagate all'estero, in quanto normalmente destinate ad essere recuperate mediante il credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero, per evitare la doppia imposizione giuridica. Sono indeducibili, continuando, le imposte per le quali la rivalsa è obbligatoria (Iva) e per le quali la rivalsa è facoltativa; mentre l'Imu e l'Irap, inizialmente indeducibili, in quanto la prima imposta patrimoniale e non reddituale e la seconda sostitutiva di numerose altre imposte che tradizionalmente integravano l'imposizione su base reddituale, sono ad oggi parzialmente deducibili, in quanto viene prevista la deducibilità dell'Imu su immobili di natura strumentale e per l'Irap sul costo del lavoro e sugli interessi. Sono invece deducibili l'iva indetraibile, per destinazione oggettiva o da pro-rata, e le imposte d'atto. Occorre distinguere, inoltre, le sanzioni amministrative da quelle contrattuali:
• le prime si considerano indeducibili per ragioni di principio, in quanto si considerano carenti sia del requisito dell'inerenza, sia perchè esse sono sostenute non per porre in essere l'attività d'impresa ma in conseguenza della stessa quando connotata da illeicità, sia perchè, infine, la funzione repressiva-punitiva della sanzione sarebbe svilita dalla sua deducibilità fiscale;
• le seconde sono state, invece, ritenute deducibili.
Infine, salvo diversa disposizione, gli interessi passivi correlati alle imposte o maggiori imposte, dovute in base alla liquidazione, al controllo formale della dichiarazione o all'accertamento possono considerarsi con funzione compensativa del ritardo nell'esazione dei tributi e perciò deducibile per l'intero loro ammontare in quanto non soggetti all'articolo 96 del TUIR. Ovviamente il tema del criterio di imputazione temporale si pone per le sole imposte deducibili. Per esse, il legislatore, con l'articolo 99 ha scelto il criterio di cassa, con un conseguente effetto di fiscalità differita rispetto al bilancio, da redigere secondo il diverso principio di competenza. In deroga al principio di cassa, si può anticipare la deduzione medianti accantonamenti commisurati alle imposte dichiarate, accertate o risultanti da sentenza, anche se non ancora pagate. Inoltre, in luogo del principio di cassa si applica quello di competenza per quei tributi che, purchè pagati, costituiscano oneri accessori ai beni o servizi acquistati e quindi destinati ad essere capitalizzati (come per l'iva indetraibile e le imposte d'atto nel caso di acquisto di un bene ammortizzabile, o di un terreno o di un'azienda) o inclusi nel valore dei beni merce (dazi doganali).
martedì 28 febbraio 2017
Novità in tema di dichiarazione d’intento
Con il provvedimento del 2 dicembre 2016, l'Agenzia delle Entrate ha approvato un nuovo modello per la dichiarazione d’intento per acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto: tale modello, come noto, deve essere utilizzato dall’esportatore abituale per effettuare operazioni di acquisto (o importazioni) di beni e ricevere prestazioni di servizi senza l’applicazione dell’IVA.
Cosa cambia nel nuovo modello di dichiarazione d’intento in vigore a partire dal 1° marzo 2017 e quali le regole relative alla compilazione delle dichiarazioni relative alle operazioni d’acquisto esenti Iva effettuate nel mese di febbraio e quindi comunicate con il vecchio modello? Nella nuova versione del modello è stata eliminata una delle tre modalità di acquisto con dichiarazione d’intento, ossia quella riferita alla presentazione della dichiarazione a valere per un determinato periodo di tempo (ad esempio dall’1/1/2017 al 31/12/2017), essendo stati soppressi i campi 3 e 4 del frontespizio e dovendosi sempre fornire l’indicazione dell’importo che si intende realizzare. Restano, pertanto, solo due modalità di acquisto tra le quali l’esportatore abituale potrà scegliere:
• presentazione della dichiarazione per singola operazione, indicando l’importo della stessa nel campo “una sola operazione per un importo fino a euro” (campo 1);
• presentazione della dichiarazione d’intento riferita ad una o più operazioni, fino a concorrenza di un determinato ammontare, da indicare nel campo “operazioni fino a concorrenza di euro” (campo 2);
Per quanto riguarda le modalità di compilazione e di utilizzo, invece:
• il nuovo modello può essere utilizzato solo per le operazioni di acquisto da effettuare a partire dal 1° marzo 2017, pertanto per le operazioni da effettuare sino al 28 febbraio 2017 deve essere utilizzato il vecchio modello;
• nel caso in cui venga presentata una dichiarazione d’intento con il vecchio modello nel quale siano stati compilati i campi 3 e 4 “operazioni comprese nel periodo da … a …” (es. dall’1/1/2017 al 31/12/2017), la dichiarazione non ha validità per le operazioni di acquisto da effettuare a partire dal 1° marzo 2017. Per tali operazioni deve essere quindi presentata una nuova dichiarazione d’intento utilizzando il nuovo modello;
• nel caso in cui venga presentata una dichiarazione d’intento con il vecchio modello nel quale sia stato compilato il campo 1 “una sola operazione per un importo fino ad euro” o il campo 2 “operazioni fino a concorrenza di euro”, la dichiarazione ha validità, fino a concorrenza dell’importo indicato, rispettivamente per la sola operazione o per le più operazioni di acquisto effettuate anche dopo il 1° marzo 2017. In tali casi, quindi, non deve essere presentata una nuova dichiarazione d’intento utilizzando il nuovo modello;
• l’importo da indicare nel campo 2 della sezione “dichiarazione” deve rappresentare l’ammontare fino a concorrenza del quale si intende utilizzare la facoltà di effettuare acquisti senza Iva nei confronti dell’operatore economico al quale è presentata la dichiarazione.
Particolare attenzione deve essere riservata alla verifica dell’importo complessivamente fatturato senza Iva dal soggetto che riceve la dichiarazione, che non deve mai eccedere quanto indicato nella dichiarazione d’intento. Qualora l’esportatore abituale, nel medesimo periodo di riferimento, voglia acquistare senza Iva per un importo superiore a quello inserito nella dichiarazione d’intento presentata, deve produrne una nuova, indicando l’ulteriore ammontare fino a concorrenza del quale si intende continuare ad utilizzare la facoltà di effettuare acquisti senza Iva. Considerando che si parla di “ulteriore ammontare”, si ritiene che questo non debba comprendere l’importo contenuto nella lettera d’intento precedentemente inviata.
Se, invece, prima di effettuare l’operazione , si intende rettificare o integrare i dati di una dichiarazione già presentata (ad esclusione dei dati relativi al plafond, indicati nel quadro A), va inviata una nuova dichiarazione, barrando la casella “Integrativa” e indicando il numero di protocollo della dichiarazione che si intende integrare. Siccome il modello integrativo sostituisce la dichiarazione integrata, il nuovo importo che va inserito non è quello “ulteriore” rispetto a quanto fatturato in precedenza, ma deve comprendere quest’ultimo.
Cosa cambia nel nuovo modello di dichiarazione d’intento in vigore a partire dal 1° marzo 2017 e quali le regole relative alla compilazione delle dichiarazioni relative alle operazioni d’acquisto esenti Iva effettuate nel mese di febbraio e quindi comunicate con il vecchio modello? Nella nuova versione del modello è stata eliminata una delle tre modalità di acquisto con dichiarazione d’intento, ossia quella riferita alla presentazione della dichiarazione a valere per un determinato periodo di tempo (ad esempio dall’1/1/2017 al 31/12/2017), essendo stati soppressi i campi 3 e 4 del frontespizio e dovendosi sempre fornire l’indicazione dell’importo che si intende realizzare. Restano, pertanto, solo due modalità di acquisto tra le quali l’esportatore abituale potrà scegliere:
• presentazione della dichiarazione per singola operazione, indicando l’importo della stessa nel campo “una sola operazione per un importo fino a euro” (campo 1);
• presentazione della dichiarazione d’intento riferita ad una o più operazioni, fino a concorrenza di un determinato ammontare, da indicare nel campo “operazioni fino a concorrenza di euro” (campo 2);
Per quanto riguarda le modalità di compilazione e di utilizzo, invece:
• il nuovo modello può essere utilizzato solo per le operazioni di acquisto da effettuare a partire dal 1° marzo 2017, pertanto per le operazioni da effettuare sino al 28 febbraio 2017 deve essere utilizzato il vecchio modello;
• nel caso in cui venga presentata una dichiarazione d’intento con il vecchio modello nel quale siano stati compilati i campi 3 e 4 “operazioni comprese nel periodo da … a …” (es. dall’1/1/2017 al 31/12/2017), la dichiarazione non ha validità per le operazioni di acquisto da effettuare a partire dal 1° marzo 2017. Per tali operazioni deve essere quindi presentata una nuova dichiarazione d’intento utilizzando il nuovo modello;
• nel caso in cui venga presentata una dichiarazione d’intento con il vecchio modello nel quale sia stato compilato il campo 1 “una sola operazione per un importo fino ad euro” o il campo 2 “operazioni fino a concorrenza di euro”, la dichiarazione ha validità, fino a concorrenza dell’importo indicato, rispettivamente per la sola operazione o per le più operazioni di acquisto effettuate anche dopo il 1° marzo 2017. In tali casi, quindi, non deve essere presentata una nuova dichiarazione d’intento utilizzando il nuovo modello;
• l’importo da indicare nel campo 2 della sezione “dichiarazione” deve rappresentare l’ammontare fino a concorrenza del quale si intende utilizzare la facoltà di effettuare acquisti senza Iva nei confronti dell’operatore economico al quale è presentata la dichiarazione.
Particolare attenzione deve essere riservata alla verifica dell’importo complessivamente fatturato senza Iva dal soggetto che riceve la dichiarazione, che non deve mai eccedere quanto indicato nella dichiarazione d’intento. Qualora l’esportatore abituale, nel medesimo periodo di riferimento, voglia acquistare senza Iva per un importo superiore a quello inserito nella dichiarazione d’intento presentata, deve produrne una nuova, indicando l’ulteriore ammontare fino a concorrenza del quale si intende continuare ad utilizzare la facoltà di effettuare acquisti senza Iva. Considerando che si parla di “ulteriore ammontare”, si ritiene che questo non debba comprendere l’importo contenuto nella lettera d’intento precedentemente inviata.
Se, invece, prima di effettuare l’operazione , si intende rettificare o integrare i dati di una dichiarazione già presentata (ad esclusione dei dati relativi al plafond, indicati nel quadro A), va inviata una nuova dichiarazione, barrando la casella “Integrativa” e indicando il numero di protocollo della dichiarazione che si intende integrare. Siccome il modello integrativo sostituisce la dichiarazione integrata, il nuovo importo che va inserito non è quello “ulteriore” rispetto a quanto fatturato in precedenza, ma deve comprendere quest’ultimo.
martedì 21 febbraio 2017
Novità: Bilanci 2016
A seguito dell’emanazione del D. Lgs. n. 139 del 18 agosto 2015, sono state modificate le norme ed i principi contabili per la redazione dei bilanci con effetto dal periodo di imposta con inizio dal 1° gennaio 2016.
Il D.Lgs. 139/2015, che recepisce la nuova direttiva europea per i bilanci, ha come obbiettivo la semplificazione in particolare per quanto riguarda le micro e piccole imprese che vedranno alleggerito il loro carico burocratico.
Con la Direttiva 2013/34/UE approvata dal parlamento europeo e del consiglio del 26 giugno 2013, vengono abrogato le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE meglio note come 4° (recepita a suo tempo con il D.Lgs. n. 127/1991) e 7° Direttiva.
Il contenuto della riforma del bilancio 2016 introduce cambiamenti per tutte le tipologie di impresa e le novità più significative riguardano:
• semplificazione;
• principi di redazione;
• esclusione dal conto economico delle voci relative a proventi e oneri straordinari e l’informativa in Nota Integrativa;
• esclusione della capitalizzazione delle voci di “costi di ricerca nuovi schemi di bilancio”.
In particolare, le Pmi evitano i complessi calcoli del costo ammortizzato con attualizzazione dei crediti e dei debiti ed evitano, inoltre, di corredare il bilancio con il nuovo rendiconto finanziario. Le società con bilancio abbreviato e, soprattutto, le micro imprese ovvero quelle che secondo l'art. 2435-ter vengono definite come società che non rientrano per due esercizi consecutivi nei parametri di seguito riportati
• totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 175.000 euro;
• ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 euro;
• dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5,
possono non applicare il criterio del costo ammortizzato dell'attualizzazione dei debiti e dei crediti non solo alle poste sorte fino al 2015, ma anche a quelle nate dal 2016. Anche se, infatti, il codice civile ha introdotto il criterio del costo ammortizzato per titoli immobilizzati, crediti e debiti, per le piccole sono stati riproposti gli attuali criteri di valutazione, ossia: costo di acquisto per i titoli immobilizzati; valore di presumibile realizzo per i crediti; e valore nominale per i debiti. Conseguentemente, i crediti continuano ad iscriversi al valore nominale per poi essere eventualmente svalutati per il minor valore di realizzo, e i debiti al valore nominale anche se con durata oltre i 12 mesi e senza interessi o con interessi non di mercato.
Chi esce dal costo ammortizzato evita anche di ricomprendere nel calcolo degli interessi da attualizzazione i costi di transazione che si hanno generalmente nell'accensione di un mutuo. Le spese di transazione sui finanziamenti quali perizie, commissioni, imposta sostitutiva, sostenute a partire dal 2016, vengono iscritte nei risconti attivi e non più negli oneri pluriennali; il risconto attivo viene rilasciato a conto economico per la durata del finanziamento a quote costanti con contropartita gli interessi passivi. Le società piccole sono esentate, quindi, dalla predisposizione del rendiconto finanziario, richiesto obbligatoriamente con il decreto bilanci per la redazione del bilancio d’esercizio delle società non piccole, il quale da quest'anno esce dalla nota integrativa per essere un autonomo elemento costitutivo del bilancio che dovrà essere revisionato dagli organi di controllo ed approvato dai soci.
Altro elemento fondamentale, per valutare la possibilità di eventuali esoneri per le altre imprese, è il concetto di “rilevanza”: vi è, a tal proposito, l'esonero dal costo ammortizzato qualora il metodo di valutazione tradizionale generi differenze irrilevanti. Il concetto di rilevanza va preso in esame per stabilire se gli errori contabili devono essere portati a patrimonio netto, riducendo in genere gli utili a nuovo, oppure possono essere ancora imputati, non essendo rilevanti sia per importo che per natura e quindi non sono tali da influenzare le decisioni assunte dai terzi leggendo il bilancio, in adeguate voci del conto economico. A tal proposito, il decreto legislativo 139/15 ha inserito nell’art. 2423 del c.c. il comma 4 che prevede la possibilità di non rispettare gli obblighi di rilevazione, valutazione, presentazione e informativa quando la loro osservanza ha effetti irrilevanti ai fini della rappresentazione veritiera e corretta. L’organismo italiano di contabilità ha esemplificato alcune casistiche relative al principio in questione attraverso:
• OIC 13 relativamente ai “metodi alternativi” afferma che, in alcuni casi, è possibile utilizzare per la valutazione delle rimanenze: il metodo dei costi standard, del prezzo al dettaglio e del valore costante se i risultati approssimano il costo effettivo delle rimanenze e ciò non implica un calcolo parallelo dei beni fungibili utilizzando i metodi di valutazione Lifo, Fifo e costo medio ponderato;
• OIC 16 il quale, relativamente alle Immobilizzazioni materiali, richiama il principio di rilevanza per l’applicazione dell’aliquota di ammortamento ridotta alla metà nell’esercizio di acquisizione del cespite se la quota così ottenuta non si discosta significativamente da quella calcolata a giorni/mesi.;
• OIC 15, OIC 19 e OIC 20 con riferimento alla valutazione del costo ammortizzato.
Infine, non vi è nessun esonero per le imprese minori per l'eliminazione della parte straordinaria e il conseguente obbligo di applicazione retroattiva: occorre riclassificare proventi e oneri dal 2015 in altre adeguate voci ed, infine, nessuna deroga neppure per l'obbligo di stralcio dell'attivo di spese di pubblicità e di ricerca, capitalizzate fino al 2015 e ancora in ammortamento, che non possono essere riclassificate tra quelle di impianto o di sviluppo.
Il D.Lgs. 139/2015, che recepisce la nuova direttiva europea per i bilanci, ha come obbiettivo la semplificazione in particolare per quanto riguarda le micro e piccole imprese che vedranno alleggerito il loro carico burocratico.
Con la Direttiva 2013/34/UE approvata dal parlamento europeo e del consiglio del 26 giugno 2013, vengono abrogato le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE meglio note come 4° (recepita a suo tempo con il D.Lgs. n. 127/1991) e 7° Direttiva.
Il contenuto della riforma del bilancio 2016 introduce cambiamenti per tutte le tipologie di impresa e le novità più significative riguardano:
• semplificazione;
• principi di redazione;
• esclusione dal conto economico delle voci relative a proventi e oneri straordinari e l’informativa in Nota Integrativa;
• esclusione della capitalizzazione delle voci di “costi di ricerca nuovi schemi di bilancio”.
In particolare, le Pmi evitano i complessi calcoli del costo ammortizzato con attualizzazione dei crediti e dei debiti ed evitano, inoltre, di corredare il bilancio con il nuovo rendiconto finanziario. Le società con bilancio abbreviato e, soprattutto, le micro imprese ovvero quelle che secondo l'art. 2435-ter vengono definite come società che non rientrano per due esercizi consecutivi nei parametri di seguito riportati
• totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 175.000 euro;
• ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 euro;
• dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5,
possono non applicare il criterio del costo ammortizzato dell'attualizzazione dei debiti e dei crediti non solo alle poste sorte fino al 2015, ma anche a quelle nate dal 2016. Anche se, infatti, il codice civile ha introdotto il criterio del costo ammortizzato per titoli immobilizzati, crediti e debiti, per le piccole sono stati riproposti gli attuali criteri di valutazione, ossia: costo di acquisto per i titoli immobilizzati; valore di presumibile realizzo per i crediti; e valore nominale per i debiti. Conseguentemente, i crediti continuano ad iscriversi al valore nominale per poi essere eventualmente svalutati per il minor valore di realizzo, e i debiti al valore nominale anche se con durata oltre i 12 mesi e senza interessi o con interessi non di mercato.
Chi esce dal costo ammortizzato evita anche di ricomprendere nel calcolo degli interessi da attualizzazione i costi di transazione che si hanno generalmente nell'accensione di un mutuo. Le spese di transazione sui finanziamenti quali perizie, commissioni, imposta sostitutiva, sostenute a partire dal 2016, vengono iscritte nei risconti attivi e non più negli oneri pluriennali; il risconto attivo viene rilasciato a conto economico per la durata del finanziamento a quote costanti con contropartita gli interessi passivi. Le società piccole sono esentate, quindi, dalla predisposizione del rendiconto finanziario, richiesto obbligatoriamente con il decreto bilanci per la redazione del bilancio d’esercizio delle società non piccole, il quale da quest'anno esce dalla nota integrativa per essere un autonomo elemento costitutivo del bilancio che dovrà essere revisionato dagli organi di controllo ed approvato dai soci.
Altro elemento fondamentale, per valutare la possibilità di eventuali esoneri per le altre imprese, è il concetto di “rilevanza”: vi è, a tal proposito, l'esonero dal costo ammortizzato qualora il metodo di valutazione tradizionale generi differenze irrilevanti. Il concetto di rilevanza va preso in esame per stabilire se gli errori contabili devono essere portati a patrimonio netto, riducendo in genere gli utili a nuovo, oppure possono essere ancora imputati, non essendo rilevanti sia per importo che per natura e quindi non sono tali da influenzare le decisioni assunte dai terzi leggendo il bilancio, in adeguate voci del conto economico. A tal proposito, il decreto legislativo 139/15 ha inserito nell’art. 2423 del c.c. il comma 4 che prevede la possibilità di non rispettare gli obblighi di rilevazione, valutazione, presentazione e informativa quando la loro osservanza ha effetti irrilevanti ai fini della rappresentazione veritiera e corretta. L’organismo italiano di contabilità ha esemplificato alcune casistiche relative al principio in questione attraverso:
• OIC 13 relativamente ai “metodi alternativi” afferma che, in alcuni casi, è possibile utilizzare per la valutazione delle rimanenze: il metodo dei costi standard, del prezzo al dettaglio e del valore costante se i risultati approssimano il costo effettivo delle rimanenze e ciò non implica un calcolo parallelo dei beni fungibili utilizzando i metodi di valutazione Lifo, Fifo e costo medio ponderato;
• OIC 16 il quale, relativamente alle Immobilizzazioni materiali, richiama il principio di rilevanza per l’applicazione dell’aliquota di ammortamento ridotta alla metà nell’esercizio di acquisizione del cespite se la quota così ottenuta non si discosta significativamente da quella calcolata a giorni/mesi.;
• OIC 15, OIC 19 e OIC 20 con riferimento alla valutazione del costo ammortizzato.
Infine, non vi è nessun esonero per le imprese minori per l'eliminazione della parte straordinaria e il conseguente obbligo di applicazione retroattiva: occorre riclassificare proventi e oneri dal 2015 in altre adeguate voci ed, infine, nessuna deroga neppure per l'obbligo di stralcio dell'attivo di spese di pubblicità e di ricerca, capitalizzate fino al 2015 e ancora in ammortamento, che non possono essere riclassificate tra quelle di impianto o di sviluppo.
mercoledì 25 gennaio 2017
Il Piano nella risoluzione della crisi d'impresa: le linee guida della FNC di Giulia Maria Rijillo
Come noto, la crisi costituisce uno stato patologico della vita d’impresa e si verifica in presenza di una situazione di squilibrio economico e finanziario non isolato, ma permanente nel tempo, con la conseguente difficoltà di “creare valore” e ripristinare la corretta funzionalità della gestione aziendale; ciò, sino a poter tracimare in un vero e proprio stato di insolvenza. Il processo di risanamento, volto all’auspicata composizione della crisi, può essere in linea di principio inquadrato nelle seguenti macro-fasi:
• l’analisi delle cause della crisi d’impresa;
• l’analisi dei dati economici, finanziari e patrimoniali “storici” dell’impresa in crisi;
• l’analisi del mercato e del posizionamento competitivo dell’impresa in crisi;
• la valutazione degli strumenti giuridici offerti dall’ordinamento per il risanamento dell’impresa in crisi;
• la redazione del Business Plan e dei flussi di cassa prospettici connessi all’implementazione delle strategie di risanamento definite. Trattasi, come vedremo, di fase cruciale. Infatti, il buon esito dell’attività di risanamento dipende dalla capacità di effettuare previsioni economico – patrimoniali precise ed attendibili, capaci di concretizzare i numeri, gli obbiettivi e le strategie sottese al piano di risanamento, verificando che i flussi di liquidità previsionali scaturenti dal piano siano in grado e di soddisfare le attese dei creditori, e di garantire la continuità della componente valida dell’azienda. Proprio a questi delicati profili è eminentemente dedicato il presente contributo;
• la pianificazione dell’esecuzione e la fase di monitoraggio.
Così come evidenziato dal documento emanato lo scorso dicembre dalla Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti, il Piano non è altro che la declinazione numerico-quantitativa del progetto di ristrutturazione, ovvero un business plan contenente quelle scelte strategiche che rappresentano il cuore e la parte cruciale del progetto di risanamento il cui obiettivo è finalizzato al riequilibrio della situazione economico-finanziaria e riorganizzativa dell’impresa. Ciò, sia nel caso di accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis della L.F., sia nei piani di risanamento e sia, ancora, nel concordato preventivo in continuità ex art. 160 della L.F..
Va precisato che la predisposizione del Piano è, in primis, di competenza dell’imprenditore/organo amministrativo della società, che si assume la responsabilità dei dati ivi indicati, delle ipotesi contenute, delle strategie e degli interventi di risanamento. La best practice aziendale suggerisce comunque all’imprenditore di farsi assistere da professionisti esterni provvisti di comprovata esperienza nel settore delle ristrutturazioni, al fine di immettere elementi di oggettività, competenza tecnica, terzietà, indipendenza nell’analisi. Ciò provoca, oltre all’apporto di preziose competenze, anche un benefico effetto, in termini di credibilità, agli occhi degli stakeholders. Nell’ambito del processo di risanamento, infatti, risulta di primaria importanza il ruolo dell’Advisor: nella fase di emergenza (di avvio della procedura) questi centrerà la propria attività, di concerto con il management dell’impresa, sull’individuazione dei flussi di cassa minimi atti a soddisfare le necessità improcrastinabili; successivamente, supporterà l’imprenditore e il management affinché si addivenga ad una fase di stabilizzazione, alimentando i presupposti affinché l’azienda possa tornare alla redditività e ad autofinanziarsi. È opportuno evidenziare come oltre alla presenza necessaria dell’advisor legale, che assiste la società nel deposito del ricorso oltre che nelle varie problematiche di natura giuridica che possono emergere, e dell’advisor finanziario, che predispone il piano, la manovra e la proposta numerica da fare ai creditori, sia opportuno valutare anche l’assistenza da parte di un advisor industriale, al fine di:
• definire le linee strategiche del Piano;
• valutare il grado di sviluppo dei nuovi prodotti;
• valutare le dinamiche e le prospettive del mercato di riferimento;
• valutare in modo oggettivo l’appeal commerciale dei prodotti e servizi offerti;
• valutare il livello di efficacia della supply chain.
Sia il piano industriale a supporto della continuità aziendale che l’accordo di ristrutturazione del debito, devono contenere due differenti sezioni:
• una qualitativa-descrittiva, dove vengono presi in considerazione e illustrati tutti gli aspetti fondamentali che contraddistinguono il progetto imprenditoriale;
• una quantitativa analitico-numerica, nella quale, attraverso proiezioni economico-finanziarie, si mira a individuare i risultati attesi dell’iniziativa, nonché l’impatto che questa potrà avere sulla struttura aziendale.
la sezione qualitativa sarà composta da:
• una descrizione sintetica del Piano e del progetto propedeutico di business plan, executive summary, con lo scopo di evidenziare i dati salienti, in modo tale da consentire a chi si approccia al Piano di ottenere un immediato quadro di sintesi;
• una presentazione dell’impresa, ovvero una panoramica della società e dell’attività esercitata negli ultimi anni e quindi: - aspetti legali societari; -appartenenza a gruppi; - organizzazione; - altre informazioni;
• un’analisi del settore di appartenenza e del posizionamento dell’impresa nel contesto concorrenziale di riferimento, considerando il posizionamento della società per effetto delle scelte e delle azioni del passato e dei meccanismi operativi;
• un paragrafo illustrativo del piano strategico che consente di effettuare un’analisi degli ultimi bilanci approvati nonché di una situazione contabile aggiornata, fornendo un paragone e la possibilità di individuare i nessi causali fra scelte passate e risultati consuntivi, al fine di comprendere meglio le effettive cause della crisi. Dovranno poi essere individuate le leve alla base della ristrutturazione aziendale, configurando il possibile business model, le strategie di prezzo, i nuovi target di clientela, il nuovo portafoglio prodotti e servizi offerti, le nuove aree geografiche in cui la società vorrà sviluppare il proprio business, i nuovi potenziali canali distributivi, individuando per tutti i precedenti punti le possibili tempistiche di implementazione.
L’analisi qualitativa, quindi,consente di predisporre ed estrinsecare il modello che rappresenta la logica economica dell’impresa e identificare le principali leve direzionali che concorrono a determinare il profilo reddituale, patrimoniale e finanziario dell’azienda e determinare l’incidenza che tali leve hanno sulla redditività e sulla crescita e sugli indicatori operativi, in grado di misurarne l’andamento. L’individuazione di tali indicatori consente di tradurre in termini operativi le intenzioni strategiche sviluppate nel Piano.
La sezione quantitativa, sarà invece composta:
• un paragrafo dedicato all’analisi dei dati storici, la quale consente di offrire un’illustrazione del rapporto tra le scelte strategiche operate in passato ed i risultati ottenuti, consentendo di verificare, anche da un punto di vista quantitativo, la qualità della strategia realizzata; di evidenziare il momento e le cause che hanno portato alla crisi aziendale e di ottenere una base da cui partire per l’elaborazione dei dati previsionali al fine di proiettare i dati economici e finanziari a supporto del Piano;
• un paragrafo in cui vengono illustrati i concetti alla base della strategia in adeguate situazioni economiche, patrimoniali e finanziarie prospettiche, che potranno essere realizzate su base mensile, trimestrale, semestrale o annuale e quindi un vero e proprio Action Plan il quale illustri: a) azioni, tempistica, responsabili; b) impatto economico finanziario delle azioni; c) investimenti e modalità di finanziamento; d) impatto organizzativo; e) condizioni e vincoli dell’implementazione;
• una sezione in cui i dati del Piano saranno oggetto di analisi di sensitività, per illustrare agli stakeholders gli effetti sui dati economici patrimoniali e finanziari laddove non venissero conseguite le principali assumptions del piano quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, il volume di fatturato, l’incidenza del costo del venduto, il periodo medio di incasso dei crediti o di pagamento dei fornitori, etc.
L’ultimo aspetto da trattare riguarda la durata del Piano e, conseguentemente, la tempistica all’interno della quale saranno effettuati i pagamenti ai creditori della procedura. In merito a ciò a giurisprudenza ha indicato in massimo cinque anni il periodo entro il quale devono essere adempiute le obbligazioni concorsuali. Pertanto, la durata del Piano da predisporre, non dovrà superare tale periodo.
• l’analisi delle cause della crisi d’impresa;
• l’analisi dei dati economici, finanziari e patrimoniali “storici” dell’impresa in crisi;
• l’analisi del mercato e del posizionamento competitivo dell’impresa in crisi;
• la valutazione degli strumenti giuridici offerti dall’ordinamento per il risanamento dell’impresa in crisi;
• la redazione del Business Plan e dei flussi di cassa prospettici connessi all’implementazione delle strategie di risanamento definite. Trattasi, come vedremo, di fase cruciale. Infatti, il buon esito dell’attività di risanamento dipende dalla capacità di effettuare previsioni economico – patrimoniali precise ed attendibili, capaci di concretizzare i numeri, gli obbiettivi e le strategie sottese al piano di risanamento, verificando che i flussi di liquidità previsionali scaturenti dal piano siano in grado e di soddisfare le attese dei creditori, e di garantire la continuità della componente valida dell’azienda. Proprio a questi delicati profili è eminentemente dedicato il presente contributo;
• la pianificazione dell’esecuzione e la fase di monitoraggio.
Così come evidenziato dal documento emanato lo scorso dicembre dalla Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti, il Piano non è altro che la declinazione numerico-quantitativa del progetto di ristrutturazione, ovvero un business plan contenente quelle scelte strategiche che rappresentano il cuore e la parte cruciale del progetto di risanamento il cui obiettivo è finalizzato al riequilibrio della situazione economico-finanziaria e riorganizzativa dell’impresa. Ciò, sia nel caso di accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis della L.F., sia nei piani di risanamento e sia, ancora, nel concordato preventivo in continuità ex art. 160 della L.F..
Va precisato che la predisposizione del Piano è, in primis, di competenza dell’imprenditore/organo amministrativo della società, che si assume la responsabilità dei dati ivi indicati, delle ipotesi contenute, delle strategie e degli interventi di risanamento. La best practice aziendale suggerisce comunque all’imprenditore di farsi assistere da professionisti esterni provvisti di comprovata esperienza nel settore delle ristrutturazioni, al fine di immettere elementi di oggettività, competenza tecnica, terzietà, indipendenza nell’analisi. Ciò provoca, oltre all’apporto di preziose competenze, anche un benefico effetto, in termini di credibilità, agli occhi degli stakeholders. Nell’ambito del processo di risanamento, infatti, risulta di primaria importanza il ruolo dell’Advisor: nella fase di emergenza (di avvio della procedura) questi centrerà la propria attività, di concerto con il management dell’impresa, sull’individuazione dei flussi di cassa minimi atti a soddisfare le necessità improcrastinabili; successivamente, supporterà l’imprenditore e il management affinché si addivenga ad una fase di stabilizzazione, alimentando i presupposti affinché l’azienda possa tornare alla redditività e ad autofinanziarsi. È opportuno evidenziare come oltre alla presenza necessaria dell’advisor legale, che assiste la società nel deposito del ricorso oltre che nelle varie problematiche di natura giuridica che possono emergere, e dell’advisor finanziario, che predispone il piano, la manovra e la proposta numerica da fare ai creditori, sia opportuno valutare anche l’assistenza da parte di un advisor industriale, al fine di:
• definire le linee strategiche del Piano;
• valutare il grado di sviluppo dei nuovi prodotti;
• valutare le dinamiche e le prospettive del mercato di riferimento;
• valutare in modo oggettivo l’appeal commerciale dei prodotti e servizi offerti;
• valutare il livello di efficacia della supply chain.
Sia il piano industriale a supporto della continuità aziendale che l’accordo di ristrutturazione del debito, devono contenere due differenti sezioni:
• una qualitativa-descrittiva, dove vengono presi in considerazione e illustrati tutti gli aspetti fondamentali che contraddistinguono il progetto imprenditoriale;
• una quantitativa analitico-numerica, nella quale, attraverso proiezioni economico-finanziarie, si mira a individuare i risultati attesi dell’iniziativa, nonché l’impatto che questa potrà avere sulla struttura aziendale.
la sezione qualitativa sarà composta da:
• una descrizione sintetica del Piano e del progetto propedeutico di business plan, executive summary, con lo scopo di evidenziare i dati salienti, in modo tale da consentire a chi si approccia al Piano di ottenere un immediato quadro di sintesi;
• una presentazione dell’impresa, ovvero una panoramica della società e dell’attività esercitata negli ultimi anni e quindi: - aspetti legali societari; -appartenenza a gruppi; - organizzazione; - altre informazioni;
• un’analisi del settore di appartenenza e del posizionamento dell’impresa nel contesto concorrenziale di riferimento, considerando il posizionamento della società per effetto delle scelte e delle azioni del passato e dei meccanismi operativi;
• un paragrafo illustrativo del piano strategico che consente di effettuare un’analisi degli ultimi bilanci approvati nonché di una situazione contabile aggiornata, fornendo un paragone e la possibilità di individuare i nessi causali fra scelte passate e risultati consuntivi, al fine di comprendere meglio le effettive cause della crisi. Dovranno poi essere individuate le leve alla base della ristrutturazione aziendale, configurando il possibile business model, le strategie di prezzo, i nuovi target di clientela, il nuovo portafoglio prodotti e servizi offerti, le nuove aree geografiche in cui la società vorrà sviluppare il proprio business, i nuovi potenziali canali distributivi, individuando per tutti i precedenti punti le possibili tempistiche di implementazione.
L’analisi qualitativa, quindi,consente di predisporre ed estrinsecare il modello che rappresenta la logica economica dell’impresa e identificare le principali leve direzionali che concorrono a determinare il profilo reddituale, patrimoniale e finanziario dell’azienda e determinare l’incidenza che tali leve hanno sulla redditività e sulla crescita e sugli indicatori operativi, in grado di misurarne l’andamento. L’individuazione di tali indicatori consente di tradurre in termini operativi le intenzioni strategiche sviluppate nel Piano.
La sezione quantitativa, sarà invece composta:
• un paragrafo dedicato all’analisi dei dati storici, la quale consente di offrire un’illustrazione del rapporto tra le scelte strategiche operate in passato ed i risultati ottenuti, consentendo di verificare, anche da un punto di vista quantitativo, la qualità della strategia realizzata; di evidenziare il momento e le cause che hanno portato alla crisi aziendale e di ottenere una base da cui partire per l’elaborazione dei dati previsionali al fine di proiettare i dati economici e finanziari a supporto del Piano;
• un paragrafo in cui vengono illustrati i concetti alla base della strategia in adeguate situazioni economiche, patrimoniali e finanziarie prospettiche, che potranno essere realizzate su base mensile, trimestrale, semestrale o annuale e quindi un vero e proprio Action Plan il quale illustri: a) azioni, tempistica, responsabili; b) impatto economico finanziario delle azioni; c) investimenti e modalità di finanziamento; d) impatto organizzativo; e) condizioni e vincoli dell’implementazione;
• una sezione in cui i dati del Piano saranno oggetto di analisi di sensitività, per illustrare agli stakeholders gli effetti sui dati economici patrimoniali e finanziari laddove non venissero conseguite le principali assumptions del piano quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, il volume di fatturato, l’incidenza del costo del venduto, il periodo medio di incasso dei crediti o di pagamento dei fornitori, etc.
L’ultimo aspetto da trattare riguarda la durata del Piano e, conseguentemente, la tempistica all’interno della quale saranno effettuati i pagamenti ai creditori della procedura. In merito a ciò a giurisprudenza ha indicato in massimo cinque anni il periodo entro il quale devono essere adempiute le obbligazioni concorsuali. Pertanto, la durata del Piano da predisporre, non dovrà superare tale periodo.
lunedì 16 gennaio 2017
Corte di Cassazione: legittimo il riporto del credito Iva in caso di omessa dichiarazione
In mancanza della dichiarazione annuale Iva, il credito maturato può essere comunque detratto grazie alla dichiarazione dell'anno successivo e alla presenza dei requisiti sostanziali di spettanza del diritto. E' questa la nuova ordinanza nr. 127/2017 della Corte di Cassazione la quale afferma che il credito Iva può essere, in ogni modo, recuperato a condizione che il diritto di detrazione sia esercitato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello di maturazione, evitando così di ricorrere alla procedura del rimborso per il recupero dell'eccedenza.
La decisione della Corte di Cassazione è maturata in seguito all'emissione di una cartella di pagamento per il recupero dell'iva detratta in considerazione della mancata presentazione della dichiarazione annuale. La Corte, riformando il parere dei giudici tributari, i quali affermavano che l'omissione della dichiarazione impediva la detrazione nonostante il credito fosse stato riportato nella dichiarazione per l'anno successivo, implicando necessariamente la proposizione di un'istanza di rimborso, ha accolto il ricorso e le ragioni del contribuente.
Viene, infatti, affermato che:
• se da un lato, costituisce atto legittimo l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione della cartella di pagamento da parte del Fisco, essendogli riconosciuto il potere di operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi nonché da atti di indagine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi dell’anagrafe tributaria;
• d’altra parte, al contribuente è consentito, nel giudizio di impugnazione della cartella emessa in conseguenza di tale controllo, dimostrare che la detrazione dell’imposta sia stata eseguita nel rispetto dei requisiti sostanziali, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto.
I giudici della Suprema Corte hanno precisato che la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili. Sarà poi il giudice tributario a dover verificare se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti per la citata detrazione, con la conseguenza che in sede di giudizio di impugnazione della cartella di pagamento non può essere negato il diritto in assenza di contestazioni sostanziali e non si dovrà, necessariamente, chiedere il rimborso per l'eccedenza.
La decisione della Corte di Cassazione è maturata in seguito all'emissione di una cartella di pagamento per il recupero dell'iva detratta in considerazione della mancata presentazione della dichiarazione annuale. La Corte, riformando il parere dei giudici tributari, i quali affermavano che l'omissione della dichiarazione impediva la detrazione nonostante il credito fosse stato riportato nella dichiarazione per l'anno successivo, implicando necessariamente la proposizione di un'istanza di rimborso, ha accolto il ricorso e le ragioni del contribuente.
Viene, infatti, affermato che:
• se da un lato, costituisce atto legittimo l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione della cartella di pagamento da parte del Fisco, essendogli riconosciuto il potere di operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi nonché da atti di indagine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi dell’anagrafe tributaria;
• d’altra parte, al contribuente è consentito, nel giudizio di impugnazione della cartella emessa in conseguenza di tale controllo, dimostrare che la detrazione dell’imposta sia stata eseguita nel rispetto dei requisiti sostanziali, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto.
I giudici della Suprema Corte hanno precisato che la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili. Sarà poi il giudice tributario a dover verificare se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti per la citata detrazione, con la conseguenza che in sede di giudizio di impugnazione della cartella di pagamento non può essere negato il diritto in assenza di contestazioni sostanziali e non si dovrà, necessariamente, chiedere il rimborso per l'eccedenza.
giovedì 5 gennaio 2017
Il nuovo 182-ter della L.F. prevede la falcidia dell'Iva
Rovesciando la posizione della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, la Corte di Giustizia UE ha stabilito che la procedura di concordato preventivo prevista dall’art. 182-ter l.f. è compatibile con il diritto comunitario anche se viene previsto il pagamento soltanto parziale del debito IVA da parte dell’imprenditore in difficoltà finanziaria, a condizione che un esperto indipendente attesti che l’Erario non otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento.
Così, il 1° gennaio, è entrata in vigore la nuova legge di bilancio per il 2017 la quale prevede che la transazione fiscale che il debitore deve proporre, all’interno del concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, possa riguardare anche la falcidia dei crediti Iva per i quali finora era ammessa solo la domanda di dilazione.
Cosa prevede, in sostanza, la nuova legge? Da oggi il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata in base all’art. 182-ter della legge fallimentare, può proporre il pagamento ¬ parziale o dilazionato ¬ dei tributi e dei contributi previdenziali. Il giudice è poi tenuto ad omologare (ossia “approvare”) la proposta di concordato, senza che su tale decisione possa influire l’eventuale consenso dell’Agenzia delle Entrate, dato che la falcidia del credito fiscale può intervenire anche in presenza del voto contrario dell’amministrazione finanziaria. Pertanto il saldo e stralcio potrà avvenire anche se il fisco dà parere negativo, purché sia raggiunta la maggioranza degli altri creditori. L’unica condizione per l’omologazione del concordato avanzato dall’imprenditore è che la misura del versamento da questi proposto deve essere pari a quella che si potrebbe realizzare con la liquidazione, tenendo conto del valore di mercato dei beni su cui sussiste la causa di prelazione. La legge di bilancio prevede, inoltre, da parte del debitore di depositare, insieme con il concordato o con l’accordo di ristrutturazione, anche una relazione redatta da un professionista abilitato e indipendente, che attesti il valore di mercato dei beni su cui sussiste la causa di prelazione.
La principale novità è rappresentata, quindi, dall’estensione del beneficio anche al credito Iva, dato che la precedente formulazione stabiliva, fra l’altro, che la proposta di transazione fiscale poteva prevedere solamente la dilazione di pagamento del tributo Iva, non la falcidia del credito, disposizione anche in seguito estesa allea ritenuta previdenziali effettuate e non versate. Falcidia del credito fiscale che, in relazione alla parte privilegiata, segue le regole generali dettate dall’articolo 160, co. 2, della l.f.. La norma dispone che la quota di credito degradata al chirografo deve essere inserita in un’apposita classe. Si tratta della prima espressa previsione normativa di classazione obbligatoria di un credito nell’ambito del concordato preventivo in quanto in passato l’Iva era stata esclusa dalla transazione fiscale perché risorsa comunitaria. La sentenza della Corte Ue del 7 aprile 2016 (C-546/14), invece, ha fatto saltare questo paletto, contraddicendo la giurisprudenza di Cassazione che aveva escluso la possibilità di falcidia dei crediti Iva, ammettendo solo la rateazione del tributo. La norma che prescrive l’integrale pagamento (anche se dilazionato) dell’Iva, eccezione alla regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati anche se di natura tributaria, è stata ritenuta inapplicabile automaticamente al di fuori della disciplina speciale dell’art. 182-ter della legge fallimentare. E’ ciò trova conferma nel fatto che per la sua applicazione al procedimento di sovraindebitamento è stata necessaria la previsione dell’art. 7 della legge 3/2012.
Così, il 1° gennaio, è entrata in vigore la nuova legge di bilancio per il 2017 la quale prevede che la transazione fiscale che il debitore deve proporre, all’interno del concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, possa riguardare anche la falcidia dei crediti Iva per i quali finora era ammessa solo la domanda di dilazione.
Cosa prevede, in sostanza, la nuova legge? Da oggi il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata in base all’art. 182-ter della legge fallimentare, può proporre il pagamento ¬ parziale o dilazionato ¬ dei tributi e dei contributi previdenziali. Il giudice è poi tenuto ad omologare (ossia “approvare”) la proposta di concordato, senza che su tale decisione possa influire l’eventuale consenso dell’Agenzia delle Entrate, dato che la falcidia del credito fiscale può intervenire anche in presenza del voto contrario dell’amministrazione finanziaria. Pertanto il saldo e stralcio potrà avvenire anche se il fisco dà parere negativo, purché sia raggiunta la maggioranza degli altri creditori. L’unica condizione per l’omologazione del concordato avanzato dall’imprenditore è che la misura del versamento da questi proposto deve essere pari a quella che si potrebbe realizzare con la liquidazione, tenendo conto del valore di mercato dei beni su cui sussiste la causa di prelazione. La legge di bilancio prevede, inoltre, da parte del debitore di depositare, insieme con il concordato o con l’accordo di ristrutturazione, anche una relazione redatta da un professionista abilitato e indipendente, che attesti il valore di mercato dei beni su cui sussiste la causa di prelazione.
La principale novità è rappresentata, quindi, dall’estensione del beneficio anche al credito Iva, dato che la precedente formulazione stabiliva, fra l’altro, che la proposta di transazione fiscale poteva prevedere solamente la dilazione di pagamento del tributo Iva, non la falcidia del credito, disposizione anche in seguito estesa allea ritenuta previdenziali effettuate e non versate. Falcidia del credito fiscale che, in relazione alla parte privilegiata, segue le regole generali dettate dall’articolo 160, co. 2, della l.f.. La norma dispone che la quota di credito degradata al chirografo deve essere inserita in un’apposita classe. Si tratta della prima espressa previsione normativa di classazione obbligatoria di un credito nell’ambito del concordato preventivo in quanto in passato l’Iva era stata esclusa dalla transazione fiscale perché risorsa comunitaria. La sentenza della Corte Ue del 7 aprile 2016 (C-546/14), invece, ha fatto saltare questo paletto, contraddicendo la giurisprudenza di Cassazione che aveva escluso la possibilità di falcidia dei crediti Iva, ammettendo solo la rateazione del tributo. La norma che prescrive l’integrale pagamento (anche se dilazionato) dell’Iva, eccezione alla regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati anche se di natura tributaria, è stata ritenuta inapplicabile automaticamente al di fuori della disciplina speciale dell’art. 182-ter della legge fallimentare. E’ ciò trova conferma nel fatto che per la sua applicazione al procedimento di sovraindebitamento è stata necessaria la previsione dell’art. 7 della legge 3/2012.
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