giovedì 15 giugno 2017

La Cooperative Compliance: il provvedimento dell'AE del 29 maggio di Giulia Maria Rijillo

Una parola divenuta di frequente utilizzo negli ultimi anni nel mondo aziendale è certamente la parola “compliance”. Compliance vuol dire conformità delle procedure interne di un'azienda con il sistema normativo e regolamentare; in termini pratici ciò si traduce in una costante attività preventiva, volta a eliminare il rischio di non conformità garantendo l’attuazione degli adempimenti richiesti. L’importanza della compliance nelle aziende, invero, è cresciuta significativamente negli ultimi anni di pari passo con la sempre maggiore complessità del quadro normativo che richiede continui adempimenti documentali spesso percepiti, proprio dalle aziende, solo come un inutile esercizio burocratico. A tal proposito, con il decreto legislativo n. 128 del 5 agosto 2015, attuativo della legge delega fiscale n. 23 del 2014, è stato introdotto nel nostro sistema l’istituto della Cooperative Compliance ovvero un regime di adempimento collaborativo con l’obiettivo di instaurare un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente che miri ad un aumento del livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti. Tale obiettivo è perseguito tramite l’interlocuzione costante e preventiva con il contribuente su elementi di fatto, ivi inclusa l’anticipazione del controllo, finalizzata ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali. Nella specie, attraverso l’adozione di forme di comunicazione e di cooperazione “rafforzata” tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria si vuole fornire, ex ante, certezza del diritto in relazione ai rischi fiscali dell’impresa. Il cambio di approccio delineato è radicale: da una logica basata sul controllo a posteriori dell’operato del contribuente, con la Cooperative Compliance si passa ad una logica fondata sul confronto preventivo, finalizzata a garantire maggiore certezza giuridica e, dunque, minore conflittualità tra le parti, ridimensionando l’eventuale intervento dell’Amministrazione a extrema ratio per i casi di accertata infrazione.
Ma chi può accedere a tale istituto? L’accesso, così come specificato dall’Agenzia delle Entrate, è riservato solo ai grandi, o meglio grandissimi, contribuenti ovvero:
• ai soggetti residenti e non residenti che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a dieci miliardi di euro;
• ai soggetti residenti e non residenti che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a un miliardo di euro e che abbiano presentato istanza di adesione al Progetto Pilota del 2013;
• alle imprese che intendano dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi investimenti, di cui all’art. 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, indipendentemente dal volume di affari o di ricavi.
E’ poi consentito l’accesso per trascinamento:
• alle società che, pur in assenza dei requisiti dimensionali sopra citati, esercitino le “funzioni di indirizzo” in relazione al sistema di controllo del rischio fiscale, purché, tuttavia, “tale inclusione sia ritenuta necessaria ai fini di una completa rappresentazione dei processi aziendali”; e
• con il limite dimensionale del miliardo di euro, alle società del gruppo che, a suo tempo, abbiano fatto richiesta di accesso al Progetto Pilota.
Con riferimento, invece, ai requisiti oggettivi valgano le seguenti indicazioni.
Le imprese che vogliono aderire al nuovo regime di adempimento collaborativo devono disporre di un efficace sistema di gestione e controllo del rischio fiscale, cd. Tax Control Framework (“TCF”), con esso intendendosi non l’applicazione di un modello standard, ma un approccio organizzativo e procedurale “individualizzato” ovvero basato sulla propria realtà aziendale. Il sistema deve, dunque, prevedere un’attenta attività di rilevazione e reporting del rischio a tutti i livelli aziendali.
Con il provvedimento del 29 maggio dell’Agenzia, inoltre, si vuole mettere in risalto un altro punto di forza di questo istituto, ovvero la competenza piena ed esclusiva dell’Ufficio di Cooperative Compliance sia per l’esercizio preventivo degli ordinari poteri di controllo, nell’interlocuzione costante con l’impresa, sia per le attività di verifica sostanziale delle dichiarazioni, oltre che per la verifica sull’operatività del sistema di gestione del rischio fiscale. Ulteriore aspetto di rilievo affrontato dal provvedimento riguarda il rapporto tra la cooperative compliance e la disciplina degli accordi preventivi. Il provvedimento prevede infatti che le materie oggetto di accordi preventivi, prezzi di trasferimento, valutazione esistenza di una stabile organizzazione, attribuzione utile e perdite alla stabile organizzazione, sono normalmente incluse nell’interlocuzione costante e preventiva nell’ambito della procedura. Tuttatavia è esclusa dalla competenza esclusiva dell’Ufficio Cooperative la disciplina degli accordi preventivi su transfer pricing e stabile organizzazione per i quali l’impresa può presentare autonoma istanza di accordo preventivo e in questo caso la procedura è gestita dall’ufficio accordi preventivi e controversie internazionali. Il provvedimento disciplina poi le modalità di svolgimento della procedura nel corso della quale l’impresa e l’Ufficio concordano delle “soglia di materialità” in relazione alle quali vanno adempiuti gli obblighi di comunicazione delle situazioni suscettibili di generare un rischio fiscale. Il provvedimento stabilisce che le fattispecie “sotto soglia” non devono essere oggetto di comunicazione, poiché i relativi rischi si considerano non significativi e pertanto, in caso di rettifica, si applicherà comunque il beneficio della riduzione a metà delle sanzioni. Infine,la Cooperative Compliance, al pari del ruling internazionale e dell'interpello sui nuovi investimenti, risulta, dunque, essere un utile strumento di dialogo capace di promuovere la distensione dei rapporti fra Fisco e grandi contribuenti e far addivenire le parti ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi tributari prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali.
Il TCF, impostato sulla base dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo di cui al D.lgs. n. 231/2001, promuoverebbe la condivisione di best practices e stimolerebbe, in futuro, lo sviluppo di un unico modello standard da applicare anche alle imprese di minori dimensioni che, notoriamente, non sono abituate alla mappatura e sistematica gestione del rischio fiscale.
Tale nuovo regime promuove, inoltre, una profonda rivisitazione della funzione fiscale in ambito aziendale.
Il responsabile fiscale dovrà, infatti, essere sempre più coinvolto, in chiave strategica, nelle decisioni di business mediante la partecipazione ai boards in cui sono valutate o decise le operazioni e i progetti rilevanti per la società e per i quali la variabile fiscale rappresenta, sotto diversi aspetti, un elemento cruciale. Il focus sulla prevenzione rende, dunque, questo regime particolarmente interessante per le imprese pur presentando, tuttavia, in questa fase di prima applicazione, alcuni evidenti limiti quali, in particolare, l’essere la platea di soggetti coinvolti troppo ristretta e i vantaggi ancora poco “determinanti” nella scelta opzionale di tale regime. L’analisi costi-benefici che verrà effettuata per valutare la convenienza ad entrare nel Regime dell’Adempimento Collaborativo potrebbe infatti risentire dell’assenza di una norma che garantisca la totale disapplicazione delle sanzioni amministrative in luogo del loro dimezzamento e, di conseguenza, scoraggiare quelle aziende che, caratterizzate da una fortissima attenzione ai costi, potrebbero ritenere eccessivamente onerosa la struttura del TCF necessariamente articolata su più linee di controllo e reporting.

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