lunedì 24 novembre 2014

Usura bancaria, di Silvana Fersini

Ultimamente si sente parlare sempre più spesso di un fenomeno chiamato usura bancaria, ovvero l’applicazione sui finanziamenti concessi alla clientela delle banche di tassi di interesse che, sommando il tasso nominale e tutti gli oneri relativi alla concessione di credito, superano il limite consentito dalla legge sull’usura (L.108/1996 e successive modifiche) oltre il quale gli interessi sono considerati usurari. L’argomento è “nell’occhio del ciclone” perché negli ultimi tempi sono state effettuate delle valutazioni dei tassi di interesse e su quasi 47mila conti correnti aziendali analizzati si sono rilevate anomalie: nel 71% dei casi i tassi di interesse passivi erano superiore al tasso soglia fissato trimestralmente dalla Banca d’Italia. Benché le analisi siano state effettuate sui documenti inviati alle aziende che già nutrivano qualche sospetto, il dato è allarmante soprattutto perché tali fenomeni vanno a pesare sui bilanci di aziende già in difficoltà per la crisi economica. Partendo dalla norma di riferimento, Legge 108/1996, questa è volta a sanzionare l’operato delle banche che nelle operazioni di erogazione di credito applichino "commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e [...] spese, escluse quelle per le imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito" (Art. 1 L. 108/96) superiori al limite determinato dall’Art 2 della L. 108/96 (Tasso Soglia d'Usura ). Il principale ambito di operatività della disciplina è costituito dai conti correnti, dai mutui e da altre operazioni di finanziamento e credito. Il costo del denaro deve, dunque, essere contenuto entro il limite del Tasso Soglia d'Usura, determinato dal Legislatore (art. 2 L. 108/1996), con il T.E.G. (Tasso Effettivo Globale) rilevato trimestralmente dalla Banca d’Italia, e pubblicato trimestralmente sulla Gazzetta Ufficiale aumentato del suo 50%. Su questo tema scottante si è espressa anche la Cassazione, già con sentenza del 2013, stabilendo che oltre all'interesse previsto nel contratto di finanziamento occorre considerare anche gli interessi di mora, cioè il tasso che il cliente dovrebbe pagare alla banca nell'eventualità in cui non riuscisse a pagare qualche rata. Solitamente l'onere della mora è indicato aumentando il tasso ordinario. Pertanto, se la sommatoria di tasso ordinario, mora e spese accessorie del finanziamento supera il tasso soglia si parla di tasso d'usura, per di più originaria. Infatti, si distinguono: a) usura originaria, consiste nella negoziazione ed espressa accettazione dei tassi applicati. Come disposto ex art. 1815 C.C. è possibile chiedere la restituzione delle somme indebitamente pagate ove gli interessi, anche se pattuiti ed accettati, superino il tasso soglia determinato dalla legge. b) usura sopravvenuta, si concretizza nel superamento della soglia d’usura in corso di rapporto, anche a mezzo di modifiche contrattuali unilateralmente promosse, del tasso di interesse stabilito al momento della stipula del contratto. Dopo la sentenza della suprema Corte di Cassazione, la Banca d’Italia ha pubblicato una circolare del 3/7/2013 in cui “giustificava” la maggiorazione dei tassi sui prodotti bancari la quale ha riscosso numerose critiche a attacchi da associazioni e non solo. Infatti, a tutte le critiche mosse alla circoalre, si è aggiunta l’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia del 07/08/2014. L’ordinanza è importante non solo perché conferma e rafforza l’orientamento delle giurisprudenza e della Legge 108/1996, ma chiarisce in modo preciso che il tasso soglia di usura è fissato per legge ed è unico sia per il tasso corrispettivo, sia per il tasso di mora. Nessuna maggiorazione del tasso soglia è consentita per il confronto con il tasso di mora.

giovedì 20 novembre 2014

Bonus fiscale beni strumetali


E’ stato confermato dalla legge di conversione, senza significative modifiche rispetto al testo originario del "decreto competitività", il nuovo incentivo destinato ai soggetti titolari di reddito d'impresa che effettuano investimenti in beni strumentali, compresi nella divisione 28 della tabella Ateco 2007 (macchinari e apparecchiature nca)

Sono agevolati gli investimenti di importo unitario non inferiore a 10mila euro, effettuati tra il 25 giugno di quest'anno (data di entrata in vigore del "decreto competitività") e il 30 giugno 2015, relativi a beni nuovi (pertanto, sono esclusi quelli usati), utilizzati in strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato.
Il beneficio consiste in un credito d'imposta pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli investimenti in beni strumentali realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, con la possibilità di escludere dal calcolo della media l'anno in cui l'investimento è stato maggiore.
Per le imprese che hanno iniziato l'attività da meno di cinque anni, concorrono alla media tutti gli investimenti realizzati nei precedenti periodi d'imposta, con uguale facoltà di escludere il valore più alto.
Invece, per i soggetti costituitisi dopo l'entrata in vigore del decreto, danno diritto al bonus tutti gli investimenti fatti in ciascuno dei periodi d'imposta agevolabili.


Agevolazione per l’accesso al credito acquisto beni strumentali (Nuova Sabatini)




Conosciuta come Nuova Legge Sabatini, è l’agevolazione messa a disposizione dal Ministero dello Sviluppo Economico per tutte le imprese che vogliono rinnovare gli impianti, acquistare nuove attrezzature, investire in hardware, software e tecnologie digitali.

L’obbiettivo di tale iniziativa è quello di facilitare l’accesso al credito delle imprese accrescendone la propria competitività nel sistema produttivo.

L’iniziativa si rivolge alle micro, piccole e medie imprese su tutto il territorio nazionale.

Per potervi accedere occorre che le imprese abbiano in seguenti requisiti:

  • abbiano una sede operativa in Italia e siano regolarmente iscritte nel Registro delle imprese  o nel Registro delle imprese di Pesca.
  • Siano nel pieno e libero esercizio dei propri diritti
  • non siano in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali
  • non rientrano tra i soggetti che hanno ricevuto, e successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato, gli aiuti considerati illegali o incompatibili dalla Commissione Europea
  • non si trovino in condizioni tali da risultare imprese in difficoltà.
     
    Sono ammessi tutti i settori produttivi, inclusi agricoltura e pesca.
     
    Gli unici esclusi sono i seguenti:
  • industria carboniera
  • attività finanziarie e assicurative
  • fabbricazione di prodotti di imitazione o di sostituzione del latte o dei prodotti lattiero –caseari
  • attività connesse all’esportazione e per gli interventi subordinati all’impiego preferenziale di prodotti interni rispetto ai prodotti di importazione.
     
    La misura sostiene gli investimenti per acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo, nonché hardware e tecnologie digitali, tali beni devono essere nuovi, inoltre l’iniziativa non riguarda l’acquisto di “terreni e fabbricati” e “immobilizzazioni in corso e acconti”
    L’investimento è interamente coperto da un finanziamento bancario (o leasing) che può essere assistito fino all’80% dell’importo dal Fondo di garanzia e deve essere:
  • di durata non superiore a 5 anni
  • di importo compreso tra 20.000 euro e 2 milioni di euro
  • interamente utilizzato per coprire gli investimenti ammissibili.
     
    Inoltre il Ministero dello Sviluppo Economico concede un contributo che consiste in un “rimborso” pari all’abbattimento del 2,75% degli interessi pagati dall’impresa alla banca (o alla società di leasing), applicati al finanziamento attenuto.
     
    Non ci sono bandi o scadenze, i contributi saranno concessi fino ad esaurimento dei fondi.



giovedì 13 novembre 2014

Gli atti di straordinaria amministrazione nel concordato preventivo con riserva.

La Fondazione dei Dottori Commercialisti di Reggio Emilia ha prodotto recentemente un documento in cui esamina e riassume l’interpretazione della dottrina e della giurisprudenza circa la natura degli atti di straordinaria amministrazione nel concordato preventivo con riserva.
E’ opportuno ricordare che il debitore dopo aver presentato il ricorso di ammissione, e in attesa di presentare il piano e la documentazione connessa, può compiere in autonomia solo gli atti di ordinaria amministrazione. Per quelli di natura straordinaria deve ottenere un’espressa autorizzazione da parte del Tribunale.
Le conseguenze derivanti dall’aver compiuto operazioni straordinarie in assenza del necessario atto autorizzativo sono di particolare rilievo; spetterà al commissario giudiziale, se nominato, e al Tribunale verificare se l’atto è stato fatto in frode ai creditori. La valutazione che riguarderà anche il comportamento tenuto dall’imprenditore, dovrà soffermarsi sulla circostanza che l’atto possa aver o meno arrecato pregiudizio all’integrità e alla conservazione del patrimonio.
Il discrimine tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione non è di facile individuazione. Da un lato assistiamo agli interventi della dottrina che al fine di qualificare un atto straordinario hanno puntato l’indice su due circostanze: la prima secondo cui è tale quell’atto che diminuisce in modo sostanziale la consistenza del patrimonio del debitore; la seconda che lo individua nella non normalità rispetto alla gestione dell’impresa.
La giurisprudenza si è soffermata “ sull’idoneità dell’atto ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità a soddisfare le ragioni dei creditori in quanto ne determina la riduzione, ovvero lo grava di vincoli e di pesi (Cass. Civ., Sez. 1, 20.10.2005, n. 20291)”.
In ogni caso è necessario che il compimento dell’atto sia funzionale e utile alla procedura e soprattutto che non vada a pregiudicare la massa attiva.

mercoledì 12 novembre 2014

Procedure fallimmentari: Il credito dell'artigiano è privilegiato se l'organizzazione del lavoro è prevalentemente propria.

La Cassazione Sezione Civile con l’Ordinanza protocollo 20390/14 ha chiarito che, ai fini dell’insinuazione al passivo di un fallimento, al credito vantato da un’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, si può riconoscere o meno il privilegio in funzione delle caratteristiche oggettive di svolgimento dell’attività di impresa e al tipo di organizzazione che fa capo all’obbligato e non della natura dell’oggetto e del contenuto della prestazione.
Il tribunale aveva escluso il privilegio ritenendo che il contratto sottostante al rapporto tra il debitore e l’impresa artigiana fosse un appalto d’opera, di per se incompatibile con la qualifica di imprenditore artigiano.
La Cassazione interviene sostenendo che nel valutare l’attribuzione del privilegio ex art 2751 bis del c.c. non ci si può fermare all’interpretazione del nome del contratto e alle sue caratteristiche giuridiche, dovendo, invece, scendere nell’esame del tipo di impresa e valutando se l’artigiano opera prevalentemente grazie al suo lavoro.
La Suprema Corte ricorda che il contratto attraverso il quale l’imprenditore si è obbligato, verso un corrispettivo e senza vincoli di subordinazione, al compimento di un’opera o di un servizio può essere qualificato, sia come appalto che come contratto d’opera.
Secondo l’art 1655 del c.c. “l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”; mentre secondo l’art. 2222 del c.c. “se una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente” il negozio giuridico è qualificato come un contratto d’opera.
Per l’ammissione al passivo con il riconoscimento del privilegio occorre verificare se l’imprenditore si serve prevalentemente del lavoro proprio e l’impresa è di piccole dimensioni; in questo caso può essere qualificata come impresa artigiana.

mercoledì 5 novembre 2014

Sovraindebitamento delle piccole imprese. Il procedimento di composizione della crisi.

Il legislatore con la Legge n. 3 del 2012 ha introdotto nel nostro ordinamento una procedura concorsuale rivolta alle imprese non fallibili, quindi a tutti gli imprenditori che sono per definizione sotto le soglie previste dall’art. 1 della L.F. Stiamo parlando, in sostanza, delle micro e piccole imprese.
Il presupposto per accedere al procedimento è rappresentato dall’esistenza in capo all’impresa di uno stato di “sovraindebitamento” definito, dalla norma stessa, come “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà ad adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.

Lo squilibrio tra il patrimonio liquidabile e le obbligazioni assunte non è definito in modo preciso.
Nella procedura l’imprenditore deve farsi assistere da un organismo di composizione della crisi, che valuterà la possibilità di definire l’eccessivo indebitamento mediante la stipula di un accordo con i creditori, che rappresentano almeno il 60% del valore dei debiti totali.
Se la proposta prevede la continuazione dell'attività di impresa, il debitore può richiedere la moratoria, fino ad un anno dall'omologazione, per il pagamento dei crediti privilegiati.
Il piano deve contenere le modalità di soluzione della crisi e l’indicazione degli importi e dei tempi di pagamento dei creditori,  Una volta predisposto il piano e trovato l’accordo entra in gioco il Tribunale che, dopo aver riscontrato la corrispondenza dei documenti ai requisiti di legge, provvede a fissare l’udienza dei creditori e a dare idonea pubblicità alla proposta, se del caso attiva provvedimenti di inibizione degli atti di aggressione del patrimonio del debitore.  

I creditori possono votare il proprio consenso al piano in modo esplicito, per coloro che invece non esprimono il loro giudizio, almeno 10 giorni prima dell’udienza fissata dal tribunale, vale il criterio del silenzio assenso.
Da ultimo, il tribunale omologa l’accordo, dando avvio alla fase di esecuzione del piano stesso.

martedì 4 novembre 2014

Il concordato preventivo. Il sindacato del Tribunale sulla fattibilità economica del piano.

Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 1521 del 2013 hanno stabilito che è compito del Tribunale valutare la fattibilità giuridica della proposta, intesa nel senso di non incompatibilità del piano con norme inderogabili. La fattibilità economica, invece, comportando valutazioni prognostiche opinabili, resta appannaggio dei creditori, coerentemente con l’impianto contrattualistico della norma. La Cassazione prosegue sostenendo che l’unico ambito di valutazione economica che il giudice deve fare è riservato alla verifica della sussistenza della proposta a soddisfare la causa del concordato, ovvero il superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e l'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro. Con particolare riguardo al concordato preventivo con cessione di beni, il controllo di legittimità consiste nella verifica dell'idoneità della documentazione a fornire elementi di giudizio ai creditori circa la convenienza della proposta.
Se il piano concordatario, attraverso cui la proposta di manifesta, non è palesemente in grado di dare soddisfazione minima ai creditori, il tribunale adito, anche grazie all’operato dei suoi coadiutori, può dichiarare inammissibile il concordato.