mercoledì 25 gennaio 2017

Il Piano nella risoluzione della crisi d'impresa: le linee guida della FNC di Giulia Maria Rijillo

Come noto, la crisi costituisce uno stato patologico della vita d’impresa e si verifica in presenza di una situazione di squilibrio economico e finanziario non isolato, ma permanente nel tempo, con la conseguente difficoltà di “creare valore” e ripristinare la corretta funzionalità della gestione aziendale; ciò, sino a poter tracimare in un vero e proprio stato di insolvenza. Il processo di risanamento, volto all’auspicata composizione della crisi, può essere in linea di principio inquadrato nelle seguenti macro-fasi:
• l’analisi delle cause della crisi d’impresa;
• l’analisi dei dati economici, finanziari e patrimoniali “storici” dell’impresa in crisi;
• l’analisi del mercato e del posizionamento competitivo dell’impresa in crisi;
• la valutazione degli strumenti giuridici offerti dall’ordinamento per il risanamento dell’impresa in crisi;
• la redazione del Business Plan e dei flussi di cassa prospettici connessi all’implementazione delle strategie di risanamento definite. Trattasi, come vedremo, di fase cruciale. Infatti, il buon esito dell’attività di risanamento dipende dalla capacità di effettuare previsioni economico – patrimoniali precise ed attendibili, capaci di concretizzare i numeri, gli obbiettivi e le strategie sottese al piano di risanamento, verificando che i flussi di liquidità previsionali scaturenti dal piano siano in grado e di soddisfare le attese dei creditori, e di garantire la continuità della componente valida dell’azienda. Proprio a questi delicati profili è eminentemente dedicato il presente contributo;
• la pianificazione dell’esecuzione e la fase di monitoraggio.
Così come evidenziato dal documento emanato lo scorso dicembre dalla Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti, il Piano non è altro che la declinazione numerico-quantitativa del progetto di ristrutturazione, ovvero un business plan contenente quelle scelte strategiche che rappresentano il cuore e la parte cruciale del progetto di risanamento il cui obiettivo è finalizzato al riequilibrio della situazione economico-finanziaria e riorganizzativa dell’impresa. Ciò, sia nel caso di accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis della L.F., sia nei piani di risanamento e sia, ancora, nel concordato preventivo in continuità ex art. 160 della L.F..
Va precisato che la predisposizione del Piano è, in primis, di competenza dell’imprenditore/organo amministrativo della società, che si assume la responsabilità dei dati ivi indicati, delle ipotesi contenute, delle strategie e degli interventi di risanamento. La best practice aziendale suggerisce comunque all’imprenditore di farsi assistere da professionisti esterni provvisti di comprovata esperienza nel settore delle ristrutturazioni, al fine di immettere elementi di oggettività, competenza tecnica, terzietà, indipendenza nell’analisi. Ciò provoca, oltre all’apporto di preziose competenze, anche un benefico effetto, in termini di credibilità, agli occhi degli stakeholders. Nell’ambito del processo di risanamento, infatti, risulta di primaria importanza il ruolo dell’Advisor: nella fase di emergenza (di avvio della procedura) questi centrerà la propria attività, di concerto con il management dell’impresa, sull’individuazione dei flussi di cassa minimi atti a soddisfare le necessità improcrastinabili; successivamente, supporterà l’imprenditore e il management affinché si addivenga ad una fase di stabilizzazione, alimentando i presupposti affinché l’azienda possa tornare alla redditività e ad autofinanziarsi. È opportuno evidenziare come oltre alla presenza necessaria dell’advisor legale, che assiste la società nel deposito del ricorso oltre che nelle varie problematiche di natura giuridica che possono emergere, e dell’advisor finanziario, che predispone il piano, la manovra e la proposta numerica da fare ai creditori, sia opportuno valutare anche l’assistenza da parte di un advisor industriale, al fine di:
• definire le linee strategiche del Piano;
• valutare il grado di sviluppo dei nuovi prodotti;
• valutare le dinamiche e le prospettive del mercato di riferimento;
• valutare in modo oggettivo l’appeal commerciale dei prodotti e servizi offerti;
• valutare il livello di efficacia della supply chain.
Sia il piano industriale a supporto della continuità aziendale che l’accordo di ristrutturazione del debito, devono contenere due differenti sezioni:
• una qualitativa-descrittiva, dove vengono presi in considerazione e illustrati tutti gli aspetti fondamentali che contraddistinguono il progetto imprenditoriale;
• una quantitativa analitico-numerica, nella quale, attraverso proiezioni economico-finanziarie, si mira a individuare i risultati attesi dell’iniziativa, nonché l’impatto che questa potrà avere sulla struttura aziendale.
la sezione qualitativa sarà composta da:
• una descrizione sintetica del Piano e del progetto propedeutico di business plan, executive summary, con lo scopo di evidenziare i dati salienti, in modo tale da consentire a chi si approccia al Piano di ottenere un immediato quadro di sintesi;
• una presentazione dell’impresa, ovvero una panoramica della società e dell’attività esercitata negli ultimi anni e quindi: - aspetti legali societari; -appartenenza a gruppi; - organizzazione; - altre informazioni;
• un’analisi del settore di appartenenza e del posizionamento dell’impresa nel contesto concorrenziale di riferimento, considerando il posizionamento della società per effetto delle scelte e delle azioni del passato e dei meccanismi operativi;
• un paragrafo illustrativo del piano strategico che consente di effettuare un’analisi degli ultimi bilanci approvati nonché di una situazione contabile aggiornata, fornendo un paragone e la possibilità di individuare i nessi causali fra scelte passate e risultati consuntivi, al fine di comprendere meglio le effettive cause della crisi. Dovranno poi essere individuate le leve alla base della ristrutturazione aziendale, configurando il possibile business model, le strategie di prezzo, i nuovi target di clientela, il nuovo portafoglio prodotti e servizi offerti, le nuove aree geografiche in cui la società vorrà sviluppare il proprio business, i nuovi potenziali canali distributivi, individuando per tutti i precedenti punti le possibili tempistiche di implementazione.
L’analisi qualitativa, quindi,consente di predisporre ed estrinsecare il modello che rappresenta la logica economica dell’impresa e identificare le principali leve direzionali che concorrono a determinare il profilo reddituale, patrimoniale e finanziario dell’azienda e determinare l’incidenza che tali leve hanno sulla redditività e sulla crescita e sugli indicatori operativi, in grado di misurarne l’andamento. L’individuazione di tali indicatori consente di tradurre in termini operativi le intenzioni strategiche sviluppate nel Piano.
La sezione quantitativa, sarà invece composta:
• un paragrafo dedicato all’analisi dei dati storici, la quale consente di offrire un’illustrazione del rapporto tra le scelte strategiche operate in passato ed i risultati ottenuti, consentendo di verificare, anche da un punto di vista quantitativo, la qualità della strategia realizzata; di evidenziare il momento e le cause che hanno portato alla crisi aziendale e di ottenere una base da cui partire per l’elaborazione dei dati previsionali al fine di proiettare i dati economici e finanziari a supporto del Piano;
• un paragrafo in cui vengono illustrati i concetti alla base della strategia in adeguate situazioni economiche, patrimoniali e finanziarie prospettiche, che potranno essere realizzate su base mensile, trimestrale, semestrale o annuale e quindi un vero e proprio Action Plan il quale illustri: a) azioni, tempistica, responsabili; b) impatto economico finanziario delle azioni; c) investimenti e modalità di finanziamento; d) impatto organizzativo; e) condizioni e vincoli dell’implementazione;
• una sezione in cui i dati del Piano saranno oggetto di analisi di sensitività, per illustrare agli stakeholders gli effetti sui dati economici patrimoniali e finanziari laddove non venissero conseguite le principali assumptions del piano quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, il volume di fatturato, l’incidenza del costo del venduto, il periodo medio di incasso dei crediti o di pagamento dei fornitori, etc.
L’ultimo aspetto da trattare riguarda la durata del Piano e, conseguentemente, la tempistica all’interno della quale saranno effettuati i pagamenti ai creditori della procedura. In merito a ciò a giurisprudenza ha indicato in massimo cinque anni il periodo entro il quale devono essere adempiute le obbligazioni concorsuali. Pertanto, la durata del Piano da predisporre, non dovrà superare tale periodo.

lunedì 16 gennaio 2017

Corte di Cassazione: legittimo il riporto del credito Iva in caso di omessa dichiarazione

In mancanza della dichiarazione annuale Iva, il credito maturato può essere comunque detratto grazie alla dichiarazione dell'anno successivo e alla presenza dei requisiti sostanziali di spettanza del diritto. E' questa la nuova ordinanza nr. 127/2017 della Corte di Cassazione la quale afferma che il credito Iva può essere, in ogni modo, recuperato a condizione che il diritto di detrazione sia esercitato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello di maturazione, evitando così di ricorrere alla procedura del rimborso per il recupero dell'eccedenza.
La decisione della Corte di Cassazione è maturata in seguito all'emissione di una cartella di pagamento per il recupero dell'iva detratta in considerazione della mancata presentazione della dichiarazione annuale. La Corte, riformando il parere dei giudici tributari, i quali affermavano che l'omissione della dichiarazione impediva la detrazione nonostante il credito fosse stato riportato nella dichiarazione per l'anno successivo, implicando necessariamente la proposizione di un'istanza di rimborso, ha accolto il ricorso e le ragioni del contribuente.
Viene, infatti, affermato che:
• se da un lato, costituisce atto legittimo l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione della cartella di pagamento da parte del Fisco, essendogli riconosciuto il potere di operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi nonché da atti di indagine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi dell’anagrafe tributaria;
• d’altra parte, al contribuente è consentito, nel giudizio di impugnazione della cartella emessa in conseguenza di tale controllo, dimostrare che la detrazione dell’imposta sia stata eseguita nel rispetto dei requisiti sostanziali, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto.
I giudici della Suprema Corte hanno precisato che la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili. Sarà poi il giudice tributario a dover verificare se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti per la citata detrazione, con la conseguenza che in sede di giudizio di impugnazione della cartella di pagamento non può essere negato il diritto in assenza di contestazioni sostanziali e non si dovrà, necessariamente, chiedere il rimborso per l'eccedenza.

giovedì 5 gennaio 2017

Il nuovo 182-ter della L.F. prevede la falcidia dell'Iva

Rovesciando la posizione della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, la Corte di Giustizia UE ha stabilito che la procedura di concordato preventivo prevista dall’art. 182-ter l.f. è compatibile con il diritto comunitario anche se viene previsto il pagamento soltanto parziale del debito IVA da parte dell’imprenditore in difficoltà finanziaria, a condizione che un esperto indipendente attesti che l’Erario non otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento.
Così, il 1° gennaio, è entrata in vigore la nuova legge di bilancio per il 2017 la quale prevede che la transazione fiscale che il debitore deve proporre, all’interno del concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, possa riguardare anche la falcidia dei crediti Iva per i quali finora era ammessa solo la domanda di dilazione.
Cosa prevede, in sostanza, la nuova legge? Da oggi il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata in base all’art. 182-ter della legge fallimentare, può proporre il pagamento ¬ parziale o dilazionato ¬ dei tributi e dei contributi previdenziali. Il giudice è poi tenuto ad omologare (ossia “approvare”) la proposta di concordato, senza che su tale decisione possa influire l’eventuale consenso dell’Agenzia delle Entrate, dato che la falcidia del credito fiscale può intervenire anche in presenza del voto contrario dell’amministrazione finanziaria. Pertanto il saldo e stralcio potrà avvenire anche se il fisco dà parere negativo, purché sia raggiunta la maggioranza degli altri creditori. L’unica condizione per l’omologazione del concordato avanzato dall’imprenditore è che la misura del versamento da questi proposto deve essere pari a quella che si potrebbe realizzare con la liquidazione, tenendo conto del valore di mercato dei beni su cui sussiste la causa di prelazione. La legge di bilancio prevede, inoltre, da parte del debitore di depositare, insieme con il concordato o con l’accordo di ristrutturazione, anche una relazione redatta da un professionista abilitato e indipendente, che attesti il valore di mercato dei beni su cui sussiste la causa di prelazione.
La principale novità è rappresentata, quindi, dall’estensione del beneficio anche al credito Iva, dato che la precedente formulazione stabiliva, fra l’altro, che la proposta di transazione fiscale poteva prevedere solamente la dilazione di pagamento del tributo Iva, non la falcidia del credito, disposizione anche in seguito estesa allea ritenuta previdenziali effettuate e non versate. Falcidia del credito fiscale che, in relazione alla parte privilegiata, segue le regole generali dettate dall’articolo 160, co. 2, della l.f.. La norma dispone che la quota di credito degradata al chirografo deve essere inserita in un’apposita classe. Si tratta della prima espressa previsione normativa di classazione obbligatoria di un credito nell’ambito del concordato preventivo in quanto in passato l’Iva era stata esclusa dalla transazione fiscale perché risorsa comunitaria. La sentenza della Corte Ue del 7 aprile 2016 (C-546/14), invece, ha fatto saltare questo paletto, contraddicendo la giurisprudenza di Cassazione che aveva escluso la possibilità di falcidia dei crediti Iva, ammettendo solo la rateazione del tributo. La norma che prescrive l’integrale pagamento (anche se dilazionato) dell’Iva, eccezione alla regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati anche se di natura tributaria, è stata ritenuta inapplicabile automaticamente al di fuori della disciplina speciale dell’art. 182-ter della legge fallimentare. E’ ciò trova conferma nel fatto che per la sua applicazione al procedimento di sovraindebitamento è stata necessaria la previsione dell’art. 7 della legge 3/2012.