Una nuova disposizione, inserita nel Decreto Fiscale durante il passaggio alla Camera, prevede per le imprese un parametro quantitativo oltre il quale scatta la presunzione di evasione per i prelievi o i versamenti di importo superiore a 1.000 euro giornalieri e a 5.000 euro mensili. Si tratta del 1° comma del corposo art. 7-quater che, rubricato “Disposizioni in materia di semplificazione fiscale”, inserisce una raffica di norme che vanno dalla riorganizzazione del calendario fiscale, alla deducibilità delle spese di viaggio dei lavoratori autonomi, agli adempimenti in tema di cedolare secca, all’obbligatorietà dell’utilizzo dell’F24 telematico, alla chiusura delle Partite IVA. Insomma, un pot-pourri di norme eterogenee tra cui, appunto, la modifica dell’art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973, in tema di presunzioni e utilizzo dei dati emersi durante le indagini bancarie. Nello specifico la modifica contenuta nel Decreto Fiscale prevede che i dati e gli elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni risultanti dalle indagini bancarie vengano posti come ricavi (e non più anche come compensi, dunque la presunzione non opera per i professionisti) a base delle rettifiche e degli accertamenti fiscali, se il contribuente non indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni «per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili». La legge, quindi, consentendo al fisco di effettuare indagini bancarie sui conti correnti, in rapporto ai dati ottenuti, può basare le proprie rettifiche del reddito e gli accertamenti fiscali. Il contribuente deve essere sempre pronto, quindi, a dimostrare la fonte dei redditi versati sul conto corrente, se non sono stati denunciati nell'annuale dichiarazione dei redditi. In pratica, un versamento non giustificato - ossia per il quale il contribuente non riesca a fornire prova della provenienza del denaro - può costituire causa di un controllo da parte del fisco. Per riassumere: i versamenti in conto corrente non hanno limiti, possono cioè essere disposti per qualsiasi importo ma a condizione che il contribuente sappia dimostrare, in caso di richiesta di chiarimenti da parte dell'Agenzia delle Entrate, da dove provengono i soldi. La materia è stata interessata da interventi pregressi del legislatore, della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. Inizialmente, si affermava che il fisco potesse accertare maggiori ricavi sulla base di versamenti e prelevamenti bancari non giustificati facendo scattare la presunzione che trasforma il prelievo/versamento in ricavo; successivamente, con la Legge 311/2004 il legislatore ha modificato l’art. 32 del D.P.R. 600/73 sostenendo che la presunzione sui prelievi non giustificati opera anche per i professionisti; di risposta, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 228/2014, ha dichiarato incostituzionale la norma in quanto la “presunzione” prelievo non giustificato = compenso non dichiarato non vale per i professionisti ed i possessori di lavoro autonomo in generale. La Cassazione, con la pronuncia n. 16440/2016, ha affermato che non esiste più la presunzione per i lavoratori autonomi, in primis per i professionisti. Più complicata è, appunto, la disciplina dei prelievi sul conto corrente. Il problema si pone per i rapporti con il fisco quando si tratta di prelievi non giustificati, ossia quando non viene chiarito il beneficiario di tali somme. Questione che potrebbe risolversi con un bonifico, operazione che lascia sempre traccia della natura dell'accredito e del soggetto beneficiario. Quando si ha a che fare con prelievi di denaro contante, però, è necessario fare una distinzione per categorie di lavoratori.
• Per i lavoratori dipendenti non ci sono né limiti né possibilità di controlli fiscali: questi, quindi, restano liberi di effettuare prelievi dal conto senza che, un giorno, l'Agenzia delle Entrate possa chiedere loro giustificazioni sulle ragioni di detto prelievo e sullo scopo cui era destinata la somma.
• Ai professionisti, inizialmente, veniva estesa la disciplina applicabile un tempo agli imprenditori (ora riformata), disciplina secondo cui i prelievi non giustificati erano da ritenersi al pari di ricavi e, quindi, giustificavano un accertamento fiscale. Tale equiparazione però è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale: oggi i professionisti, come i lavoratori dipendenti, sono liberi di effettuare prelievi senza dover tenere traccia del beneficiario delle somme.
• Per gli imprenditori, la norma precedente al decreto fiscale appena approvato stabiliva l'obbligo di dover sempre giustificare i prelievi in conto corrente. Significa che se un imprenditore o un professionista effettuava dei prelievi e non era in grado di indicare il beneficiario, si poteva ritenere che avesse acquistato in nero per rivendere altrettanto in nero. Oggi la norma è cambiata e fissa dei tetti: solo se tali limiti vengono superati c'è l'obbligo di fornire chiarimenti sul beneficiario dei prelievi. In pratica, unicamente per gli imprenditori viene stabilito che solo i prelievi non giustificati superiori a 1.000 euro giornalieri e comunque superiori a 5.000 euro mensili possono eventualmente causare un accertamento. Quelli inferiori a tali importi restano liberi.
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