Con l’entrate in vigore del Dlgs 135/2016 che, in attuazione della Direttiva 2014/56/Ue, ha modificato il decreto 39/2010, vengono messe, ancor di più, in risalto le indicazioni contenute all’interno del principio Isa Italia 230 il quale, oltre a definire gli obiettivi, precisa la forma, l’organizzazione, i contenuti e le modalità di custodia dei documenti dei professionisti incaricati della revisione.
L’Isa Italia 230, evidenziandone la natura e la finalità, afferma che la documentazione della revisione contabile fornisce:
• evidenza degli elementi a supporto delle conclusioni del revisore sul raggiungimento degli obiettivi generali;
• evidenza che il lavoro di revisione sia stato pianificato e svolto in conformità ai principi di revisione ed alle disposizioni di legge e regolamentari applicabili;
• assistenza al team di revisione nella pianificazione e nello svolgimento della revisione;
• assistenza ai membri del team di revisione responsabili della super visione, nel dirigere e
supervisionare il lavoro di revisione e nell’assolvere le proprie responsabilità di riesame del lavoro in conformità al principio di revisione internazionale (ISA Italia) n. 220;
• permette al team di revisione di dare conto dell’attività svolta;
• mantiene una evidenza documentale degli aspetti che mantengono la loro rilevanza nei futuri incarichi di revisione;
• permette lo svolgimento del riesame della qualità e delle ispezioni in conformità al principio internazionale sul controllo della qualità n. 1 (ISQC Italia 1) ovvero a disposizioni nazionali che prevedano regole stringenti almeno quanto quelle contenute nell’ISQC Italia 1;
• permette l’effettuazione di ispezioni da parte di soggetti esterni secondo quanto previsto da leggi, regolamenti o da altre disposizioni applicabili.
La forma, il contenuto e l’ampiezza della documentazione della revisione dipendono da fattori quali:
• la dimensione e la complessità dell’impresa;
• la natura delle procedure di revisione da svolgere;
• i rischi identificati di errori significativi;
• la rilevanza degli elementi probativi acquisiti;
• la natura e la portata delle eccezioni identificate;
• la necessità di documentare una conclusione o gli elementi a supporto di una conclusione
• non facilmente desumibili sulla base della documentazione del lavoro svolto o degli
elementi probativi acquisiti;
• la metodologia di revisione e gli strumenti utilizzati.
Per quanto riguarda la tenuta delle carte da lavoro, questa può essere formalizzata su supporto cartaceo, elettronico o di altro tipo, purchè sia chiaramente identificabile il nome dell’azienda, il bilancio d’esercizio in esame, la firma del revisore e la data di verifica. Inoltre è necessario che la numerazione deve seguire l’indice stabilito nel dossier, indicando il titolo del documento e definire il collegamento tra le carte di lavoro e la corrispondente scheda riepilogativa.
Generalmente viene creato un auditfile con le carte di lavoro correnti e permanenti. Mentre le prime sono relative alle singole voci di bilancio e alle informazioni relative alla verifica in corso, le seconde si riferiscono a informazioni societarie e fiscali di carattere generale, le quali vengono aggiornate in base agli eventi. Il revisore può considerare utile preparare e conservare nella documentazione della revisione, un riepilogo (talvolta denominato “memorandum conclusivo”) con la descrizione degli aspetti significativi identificati durante la revisione e del modo in cui sono stati fronteggiati, o con il rinvio ad altra documentazione di revisione che fornisca tali informazioni. Detto riepilogo può facilitare riesami e ispezioni efficienti ed efficaci della documentazione della revisione, in particolare nei casi di revisioni contabili ampie e complesse. Inoltre, la preparazione di un tale riepilogo può aiutare il revisore nel tenere in considerazione aspetti significativi. Può altresì aiutare il revisore a considerare se, alla luce delle procedure di revisione svolte e delle conclusioni raggiunte, vi sia un obiettivo, contenuto in un principio di revisione applicabile nelle circostanze, che egli non è in grado di raggiungere e che gli impedirebbe la realizzazione degli obiettivi generali di revisione.
Per quanto riguarda le tempistiche, il principio prevede che il revisore definisca direttive e procedure per il tempestivo completamento della raccolta della documentazione della revisione nella versione definitiva. Un appropriato limite di tempo entro il quale completare la raccolta della documentazione della revisione nella versione definitiva è normalmente non superiore a 60 giorni dalla data della relazione di revisione. Il completamento della raccolta della documentazione della revisione nella versione definitiva successivamente alla data della relazione di revisione risponde ad esigenze di sistemazione formale della stessa e non implica lo svolgimento di nuove procedure di revisione né l’elaborazione di nuove conclusioni. Durante la raccolta delle carte di lavoro nella versione definitiva, possono essere effettuate modifiche alla documentazione della revisione purché siano di natura formale. Esempi di tali modifiche includono:
• cancellare o eliminare la documentazione superata;
• classificare le carte di lavoro, ordinarle ed evidenziare i rinvii tra le stesse;
• firmare, al loro completamento, le checklist relative alla raccolta delle carte di lavoro;
• documentare gli elementi probativi acquisiti dal revisore, esaminati e condivisi con i membri del team di revisione prima della data della relazione di revisione.
La predisposizione tempestiva della documentazione della revisione, sufficiente ed appropriata, contribuisce a migliorare la qualità di quest’ultima e rende più efficace il riesame e la valutazione degli elementi probativi raccolti e delle conclusioni raggiunte prima dell’emissione della relazione di revisione.
Il principio Isa Italia 230 precisa anche che le carte di lavoro devono essere conservate per dieci anni dalla relazione di revisione e devono essere custodite assicurandone la riservatezza, la sicurezza, la rintracciabilità e l’integrità.
Studio ASSE - Commercialisti e Avvocati in Roma, Bologna e Milano. Dott. Arturo Gulinelli - Dott. Salvatore Magistri - Avv. Piero Cesarei - Avv. Matteo Pellegrini - Avv. Giampiero Agnese - Avv. Nicoletta Grassi - Sede di Roma, Via Scipioni 132 - 00192 - tel. 063700388 r.a. - sede di Bologna via L.C. FARINI 40124 Tel: 051/332017 - sede di Milano Piazza Velasca 8 - 20122 - Tel: 02/76004104 -
mercoledì 26 ottobre 2016
lunedì 17 ottobre 2016
Il ravvedimento operoso: dichiarazioni a sfavore
Con la circolare n. 42/E, l’Agenzia delle entrate offre una panoramica sui vantaggi previsti in termini di riduzione delle sanzioni alla luce delle modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità per il 2015 (Legge n. 190/2014) e dal Dlgs n. 158/2015 di riforma del sistema sanzionatorio. L’Agenzia ha fornito ulteriori chiarimenti in ordine all’istituto del ravvedimento operoso, in particolare per quanto concerne gli errori dichiarativi, ossia errori inerenti al contenuto delle dichiarazioni dei redditi, nonché al momento di invio dello stesso modello dichiarativo (oltre i termini ordinari). La prima parte della circolare è dedicata alla possibilità di regolarizzare le dichiarazioni in base a delle tempistiche di riferimento ed è per questo, quindi, che le sanzioni che il contribuente paga se rileva l’errore entro 90 giorni sono ridotte e differentemente modulate in base alla tipologia di violazione (errore, mancata presentazione). Infatti, con la revisione della disciplina del ravvedimento assume un’importanza significativa la distinzione tra dichiarazione integrativa e la dichiarazione tardiva. La prima è presentata entro 90 giorni dalla scadenza dei termini ordinari, al fine di correggere il contenuto della dichiarazione originaria (presentata entro i termini). La seconda, al contrario, costituisce il primo modello dichiarativo presentato dal contribuente, ma oltre la scadenza dei termini previsti dal Legislatore. La dichiarazione integrativa è funzionale alla correzione di errori:
• non rilevabili in sede di controllo automatizzato o formale;
• rilevabili in sede di controllo automatizzato o formale.
Nel primo caso, la riduzione prevista dall’istituto del ravvedimento si applica sulla sanzione di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 471/1997 (tale disposizione disciplina le violazioni di carattere formale relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni che non integrino un’ipotesi di infedele dichiarazione). A titolo esemplificativo se il contribuente, per correggere la dichiarazione originaria, presenta una dichiarazione integrativa/sostitutiva entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria per correggere l’omessa indicazione di un reddito da locazione, la sanzione da considerare per la regolarizzazione è quella di cui al comma 1 dell’art. 8, che va da un minimo di 250 euro fino a un massimo di 2.000 euro. Ovviamente è necessario regolarizzare anche l’eventuale omesso versamento.
Nella seconda ipotesi, invece, la sanzione sulla quale quantificare la riduzione (nell’ambito del ravvedimento operoso) è quella per omesso versamento, pari al 30% di ogni importo non versato (art. 13 del D.Lgs. 471/1997).
Per quanto concerne la dichiarazione tardiva, la sanzione in misura ordinaria è pari a 250 euro(art. 1, D.Lgs. n. 471/1997), in assenza di debito d’imposta. Rimane ovviamente ferma la sanzione per omesso versamento nel caso in cui alla tardività si aggiunga anche il carente o tardivo versamento del tributo che emerge dalla dichiarazione medesima. Su tali importi va quantificata la riduzione della sanzione prevista nell’ambito dell’istituto del ravvedimento operoso. Ancora con riferimento all’ipotesi della dichiarazione tardiva, l’Agenzia ha precisato che non ha alcuna rilevanza la sanzione prevista per la presentazione della dichiarazione entro il termine per la presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo, in quanto in tale circostanza si fa riferimento alla fattispecie della dichiarazione omessa, ben diversa rispetto a quella della dichiarazione tardiva.
La circolare, continua prendendo in esame la dichiarazione integrativa presentata oltre i 90 giorni dalla scadenza ordinaria dei termini e la dichiarazione omessa (ossia la dichiarazione originaria presentata addirittura oltre i 90 giorni dalla scadenza ordinaria dei termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi). In relazione alle dichiarazioni integrative, anche in questo caso siamo di fronte a due ipotesi diverse:
• correzioni di errori/omissioni non rilevabili
• correzione di errori/omissioni rilevabili
Con riferimento alla prima ipotesi, le violazioni in questione integrano in genere la violazione di infedele dichiarazione. La sanzione ordinaria va dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Su tale importo va quantificata la sanzione ridotta (in caso di ravvedimento). Per quanto concerne gli acconti per il periodo d’imposta successivo, se la dichiarazione integrativa viene presentata entro i termini per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, non è applicabile alcuna sanzione su eventuali maggiori acconti da versare a seguito della dichiarazione integrativa. Come infatti precisato dall’Agenzia, se l’importo precedentemente versato per gli acconti è commisurato a quello determinato nella dichiarazione vigente al momento del versamento, il contribuente non potrà essere assoggettato a sanzione per carente versamento (in tal senso devono intendersi superati i chiarimenti resi con la circolare n. 47/E del 18 giugno 2008). Con riferimento alla seconda ipotesi (dichiarazione integrativa per correggere errori rilevabili in sede di controllo automatizzato o formale), la sanzione ordinaria rimane quella relativa all’omesso versamento, ossia 30% di ogni importo non versato. Su tale importo va calcolata la riduzione nell’ipotesi del ravvedimento.
Nel caso in cui non siano dovute imposte a seguito della presentazione della dichiarazione, la sanzione in misura ordinaria va da un minimo di 250 euro a un massimo di euro 1.000. Qualora invece siano dovute imposte, la sanzione ordinaria applicabile va dal 120% al 240% delle imposte da versare.
Nell’ipotesi in cui la dichiarazione omessa venga presentata entro i termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi per il periodo d’imposta successivo:
• se non sono dovute imposte la sanzione va da 150 a 500 euro;
• se sono dovute imposte la sanzione va dal 60% al 120% delle imposte da versare.
L’Agenzia precisa inoltre che, nell’ipotesi di presentazione della dichiarazione oltre i 90 giorni dalla scadenza dei termini ordinari, le sanzioni non possono essere spontaneamente regolarizzate mediante l’istituto del ravvedimento operoso.
• non rilevabili in sede di controllo automatizzato o formale;
• rilevabili in sede di controllo automatizzato o formale.
Nel primo caso, la riduzione prevista dall’istituto del ravvedimento si applica sulla sanzione di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 471/1997 (tale disposizione disciplina le violazioni di carattere formale relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni che non integrino un’ipotesi di infedele dichiarazione). A titolo esemplificativo se il contribuente, per correggere la dichiarazione originaria, presenta una dichiarazione integrativa/sostitutiva entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria per correggere l’omessa indicazione di un reddito da locazione, la sanzione da considerare per la regolarizzazione è quella di cui al comma 1 dell’art. 8, che va da un minimo di 250 euro fino a un massimo di 2.000 euro. Ovviamente è necessario regolarizzare anche l’eventuale omesso versamento.
Nella seconda ipotesi, invece, la sanzione sulla quale quantificare la riduzione (nell’ambito del ravvedimento operoso) è quella per omesso versamento, pari al 30% di ogni importo non versato (art. 13 del D.Lgs. 471/1997).
Per quanto concerne la dichiarazione tardiva, la sanzione in misura ordinaria è pari a 250 euro(art. 1, D.Lgs. n. 471/1997), in assenza di debito d’imposta. Rimane ovviamente ferma la sanzione per omesso versamento nel caso in cui alla tardività si aggiunga anche il carente o tardivo versamento del tributo che emerge dalla dichiarazione medesima. Su tali importi va quantificata la riduzione della sanzione prevista nell’ambito dell’istituto del ravvedimento operoso. Ancora con riferimento all’ipotesi della dichiarazione tardiva, l’Agenzia ha precisato che non ha alcuna rilevanza la sanzione prevista per la presentazione della dichiarazione entro il termine per la presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo, in quanto in tale circostanza si fa riferimento alla fattispecie della dichiarazione omessa, ben diversa rispetto a quella della dichiarazione tardiva.
La circolare, continua prendendo in esame la dichiarazione integrativa presentata oltre i 90 giorni dalla scadenza ordinaria dei termini e la dichiarazione omessa (ossia la dichiarazione originaria presentata addirittura oltre i 90 giorni dalla scadenza ordinaria dei termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi). In relazione alle dichiarazioni integrative, anche in questo caso siamo di fronte a due ipotesi diverse:
• correzioni di errori/omissioni non rilevabili
• correzione di errori/omissioni rilevabili
Con riferimento alla prima ipotesi, le violazioni in questione integrano in genere la violazione di infedele dichiarazione. La sanzione ordinaria va dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta. Su tale importo va quantificata la sanzione ridotta (in caso di ravvedimento). Per quanto concerne gli acconti per il periodo d’imposta successivo, se la dichiarazione integrativa viene presentata entro i termini per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, non è applicabile alcuna sanzione su eventuali maggiori acconti da versare a seguito della dichiarazione integrativa. Come infatti precisato dall’Agenzia, se l’importo precedentemente versato per gli acconti è commisurato a quello determinato nella dichiarazione vigente al momento del versamento, il contribuente non potrà essere assoggettato a sanzione per carente versamento (in tal senso devono intendersi superati i chiarimenti resi con la circolare n. 47/E del 18 giugno 2008). Con riferimento alla seconda ipotesi (dichiarazione integrativa per correggere errori rilevabili in sede di controllo automatizzato o formale), la sanzione ordinaria rimane quella relativa all’omesso versamento, ossia 30% di ogni importo non versato. Su tale importo va calcolata la riduzione nell’ipotesi del ravvedimento.
Nel caso in cui non siano dovute imposte a seguito della presentazione della dichiarazione, la sanzione in misura ordinaria va da un minimo di 250 euro a un massimo di euro 1.000. Qualora invece siano dovute imposte, la sanzione ordinaria applicabile va dal 120% al 240% delle imposte da versare.
Nell’ipotesi in cui la dichiarazione omessa venga presentata entro i termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi per il periodo d’imposta successivo:
• se non sono dovute imposte la sanzione va da 150 a 500 euro;
• se sono dovute imposte la sanzione va dal 60% al 120% delle imposte da versare.
L’Agenzia precisa inoltre che, nell’ipotesi di presentazione della dichiarazione oltre i 90 giorni dalla scadenza dei termini ordinari, le sanzioni non possono essere spontaneamente regolarizzate mediante l’istituto del ravvedimento operoso.
giovedì 6 ottobre 2016
Le B-Corp italiane: le Società Benefit
Con la Legge di Stabilità (in vigore dal 1° gennaio scorso) è stata introdotta nel nostro ordinamento la figura della c.d. Società Benefit – SB.
Tale figura prende forma dal modello statunitense delle benefit corporation (cd. B-Corp) e l’Italia è l’unico Paese europeo ad aver disciplinato tale fenomeno. Le SB, pur essendo for-profit, intendono coniugare l’obiettivo del profitto con un impatto positivo con il contesto in cui operano. Si tratta, infatti, di società che perseguono lo scopo di lucro utilizzando il profitto come mezzo per creare un beneficio che si ripercuote anche su altre categorie di soggetti, garantendo allo stesso tempo all’impresa una maggiore redditività. In sostanza, lo scopo è quello di produrre benessere nell’ambiente in cui la società opera e, quindi, di misurare i risultati dell’impresa (e dei suoi amministratori) non solo sotto il profilo economico e finanziario, ma anche sotto quello del raggiungimento degli obiettivi di qualità che la B-Corp ha dichiarato prioritari.
Ma come si diventa società benefit? Dal punto di vista formale la legge non ha creato un nuovo tipo societario, potendo la società benefit assumere la veste giuridica di una qualsiasi società prevista dal codice civile, come società di persone, società di capitali o cooperative, ma ha delineato un quadro normativo in cui la duplice finalità del profitto e del beneficio comune si declina nell’oggetto sociale, nella governance dell’impresa e nell’enforcement. Dal punto di vista sostanziale si tratta di società che, ovviamente, perseguono lo scopo di lucro utilizzando il profitto come mezzo per creare un beneficio, ma si parla però di un beneficio che si ripercuote anche su altre categorie di soggetti, quali lavoratori, clienti, fornitori, creditori, finanziatori, pubblica amministrazione e società civile, garantendo allo stesso tempo all’impresa una maggiore redditività e anche la possibilità, aggiungendo alla propria denominazione l’appellativo “benefit”, di rendere noto al mercato, con un’informazione legalmente riconosciuta, che la sociètà stessa persegue finalità non solo dettate dal proprio egoistico profitto, ma anche di natura altruistica. La legge stabilisce poi che la società benefit deve indicare nell’ambito del proprio oggetto sociale le finalità specifiche di beneficio comune che intende perseguire. Tale disposizione è volta a consentire espressamente alla società di attribuire stabilità e certezza a un progetto imprenditoriale in cui la massimizzazione del profitto non costituisce l’unico obiettivo dell’attività aziendale. Accanto alla previsione dell’indicazione nell’atto costitutivo delle finalità di beneficio comune che la società intende perseguire, la legge si preoccupa di individuare gli specifici obblighi in cui incorrono gli amministratori della società benefit e le relative responsabilità. A livello pubblicitario, inoltre, deve essere annualmente predisposta, in occasione del bilancio d’esercizio, una relazione concernente il perseguimento del beneficio comune, dalla quale emergano :
• La descrizione degli obiettivi specifici;
• Le modalità attuative;
• Le azioni realmente intraprese;
• La valutazione dell’impatto generato;
• La descrizione degli obiettivi futuri.
Inoltre, la società benefit, fermo restando quanto previsto dal codice civile, deve individuare il soggetto o i soggetti responsabili cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle finalità di beneficio comune. L’organo sul quale grava l’obbligo di individuazione del soggetto o dei soggetti responsabili è l’organo amministrativo della società. La legge delinea, infine, il quadro dei controlli delle società benefit prevedendo un’autovalutazione della società sull’impatto generato dalla propria attività sugli interessi dei diversi soggetti e attribuendo all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato poteri sanzionatori nei confronti delle società che non perseguono le finalità di beneficio comune. E’ opportuno sottolineare, inoltre, che la disciplina non dispone, per queste società, alcun particolare vantaggio come benefici fiscali, sgravi contributivi, agevolazioni finanziarie o deroghe all’ordinaria disciplina del diritto societario.
Da un punto di vista pìù generale, infine, notiamo come le SB prendono forma in un contesto caratterizzato da un ampio dibattito, a livello comunitario e internazionale, su come affermare una nuova concezione di business, in cui il progresso sociale sia integrato nel processo di sviluppo economico delle imprese. Questo dibattito muove dall’intuizione per cui temperare la logica del profitto, bilanciando l’interesse dei soci con quello degli altri stakeholders, non costituisce un vincolo per le imprese, ma un’opportunità di differenziazione e crescita. L‘attenzione posta dai governi sulla necessità di strategie integrate per affrontare le sfide imposte dalla crisi, dai cambiamenti climatici e demografici, dall’impoverimento delle risorse naturali ha accresciuto la consapevolezza per cui l’uso responsabile delle risorse umane e naturali necessarie al processo produttivo e la capacità di soddisfare anche istanze sociali costituiscono un imperativo al quale l’impresa che intenda rimanere competitiva sul mercato non può sottrarsi. Con le misure introdotte dalla legge di Stabilità per il 2016, l’Italia rappresenta il primo Stato europeo ad aver riconosciuto uno status giuridico proprio per le società che utilizzano il profitto anche come strumento per la creazione di valore sociale e, per queste ragioni, l’ingresso delle Società Benefit nel nostro ordinamento rappresenta una vera e propria rivoluzione economica.
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