venerdì 13 maggio 2016

IL COSTO AMMORTIZZATO: NUOVI PRINCIPI CONTABILI DI GIULIA MARIA RIJILLO

Con la modifica delle norme del codice civile in materia di bilancio previste dal D. Lgs. 139/2015, viene introdotto nel contesto dei Principi contabili italiani il criterio del costo ammortizzato per l’iscrizione e valutazione dei crediti e dei debiti nel bilancio d’esercizio e consolidato. L’applicazione di questo principio pare non riguardare i crediti e i debiti commerciali. In queste operazioni, infatti, i tempi di incasso e di pagamento si presentano di norma brevi e la componente finanziaria (interessi espliciti o impliciti) non assume rilievo. Il nuovo criterio assume, quindi, maggiore rilevanza applicativa in relazione alle poste finanziari e in questo documento ci soffermeremo soprattutto sui debiti; in particolare, sui debiti su cui maturano interessi passivi ovvero sui debiti finanziari di medio/lungo termine, siano essi sotto forma di prestiti obbligazionari, finanziamenti soci, finanziamenti bancari e altri.
In questi casi è abbastanza normale che vi siano disaggi/aggi di emissione e costi iniziali. I costi iniziali sono tutti quei costi che non si sarebbero sostenuti se non si fosse emesso il finanziamento: ad esempio, spese di istruttoria, commissioni bancarie, spese legali e consulenze dirette per l’acquisizione dello strumento finanziario; la loro presenza fa sì che il tasso di interesse effettivo sul finanziamento sia maggiore del tasso di interesse nominale. Il criterio del costo ammortizzato, che ha sempre la sua base nel costo storico, tiene conto delle differenze tra tassi di interesse nominali e tassi effettivi, in particolare impone di ripartire (ammortizzare) le componenti di reddito finanziarie lungo la durata dell’operazione.
Praticamente, il valore iniziale di iscrizione in bilancio del debito è pari:
• per i finanziamenti, al valore nominale al netto dei costi iniziali;
• per i prestiti obbligazionari, al valore di emissione al netto dei disaggi di emissione e degli altri costi iniziali.
Negli esercizi successivi, il valore del debito deve essere rettificato dell’ammortamento (ripartizione) della differenza tra il valore iniziale di iscrizione e il valore a scadenza del debito (generalmente coincidente con il valore nominale). In pratica, il valore del debito iscritto nello Stato patrimoniale sarà pari al costo ammortizzato.
Gli interessi passivi vengono imputati a Conto economico, non in base al tasso nominale (con il quale si calcolano gli interessi da corrispondere alla banca), bensì in base al tasso di interesse effettivo, che risulta differente da quello nominale, proprio per effetto della presenza dei costi iniziali. Il tasso effettivo di interesse è il tasso interno di rendimento che rende uguale il valore attuale dei flussi di cassa in uscita futuri (per interessi e rimborso del capitale) al valore iniziale di iscrizione in bilancio del debito.
L’utilizzo del tasso di interesse effettivo consente, quindi, di riallineare nel tempo il valore di iscrizione iniziale con quello a scadenza, facendo emergere in bilancio, in ogni esercizio di durata del prestito, l’onerosità effettivamente sostenuta a fronte dell’erogazione del finanziamento, così da riflettere a Conto Economico il costo del finanziamento secondo un tasso costante e a Stato Patrimoniale il valore residuo dei flussi finanziari da utilizzare per il rimborso.
In questo modo il valore dei debiti riportato nello Stato Patrimoniale passivo non sarà più il valore nominale ma il costo ammortizzato, ovvero il valore inizialmente rilevato aumentato, anno dopo anno, dell’ammortamento della differenza iniziale e ridotto delle quote capitale rimborsate.
Si può affermare, in conclusione, che questo criterio migliora la rappresentazione di tali componenti reddituali, in quanto vengono rilevati gli interessi in base al tasso di rendimento effettivo e non nominale, tenendo in considerazione anche il fattore temporale.

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