giovedì 21 marzo 2019

Strategico attuare modelli che possono prevedere e gestire i rischi aziendali per governare l’instabilità dei mercati

La crisi del 2007-2008 è stata per le imprese più intensa rispetto a quella del ’29; è stata una crisi profonda, che ha trovato un sistema finanziario ed economico integrato a livello globale e quindi si è diffusa rapidamente dagli Stati Uniti all’Europa e poi ai paesi in via di sviluppo.
L’integrazione sistemica dei mercati è, pertanto, una nuova “variabile” difficile da prevedere, che è sfuggita ai modelli macroeconomici di equilibrio generale (i modelli DSGE), come anche ai modelli usati dalle società di rating per valutare le grandi società; entrambi i modelli sia quelli micro che quelli macro, non riescono a fare previsioni che tengano in considerazione l’ambiente esterno in una visione sistemica, allo stesso modo non riescono ad individuare le interazioni tra le variabili, sfuggono anche le interazioni esistenti tra valori di flusso e di valori stock.
Perfino un guru del marketing come Philip Kotler ha deciso di confrontarsi nel 2010 con l’argomento della turbolenza e della discontinuità dell’ambiente economico in cui operano le imprese (Chaotics – gestione e marketing nell’era della turbolenza P. Kotler e J. A. Caslione 2010 edizione settembre 2009 Sperling&Kupfer).
Il sistema suggerito dall’eminente studioso di marketing è il cosidetto “Chaotics Management System”, un metodo di analisi e gestione aziendale che consente alle imprese di poter crescere (ndr e sopravvivere) in periodi di caos.
Nulla di innovativo o meglio nulla che le imprese non facciano già, magari implicitamente, da sempre, ovvero:
. creare dei sistemi di pre-allarme che individuano potenziali cause di turbolenza nei mercati di riferimento;
. creare scenari chiave che consentono di analizzare e rispondere alle turbolenze;
. verificare e testare le strategie secondo la propria resistenza e capacità di reagire ai rischi.
E il punto non è solo prevedere le possibili future crisi ma anche i cambiamenti tecnologici, sempre più veloci e repentini e che sovente spiazzano le imprese i loro modelli di business.
Anche senza ricorrere alla grande crisi del 2007 la storia è piena di imprese che seppur leader nel loro mercato di riferimento sono state travolte da innovazioni tecnologiche non previste (e a volte non difficilmente prevedibili).
Una attenta governance non può non tenere in debita considerazione la creazione di puntuali sistemi di valutazione e gestione dei rischi.
Non si vuole approfondire in modo specifico i vari modelli di ERM (entrprise risk management) esistenti, è opportuno però stimolare il dibattito sulle variabili e le determinanti che ogni manager deve prendere in considerazione quali fonti di rischio.

venerdì 8 marzo 2019

Le performance delle imprese italiane, le pubbliche meglio di quelle a controllo privato

Non sempre il controllo privato è sinonimo di efficienza e, quindi, il controllo pubblico di un'iziativa economica non è necessariamente inefficiente, anzi.
E' interessante lo studio del 2018 fatto da MEDIOBANCA su 2075 società italiane del settore terziario e industriale di media e grande dimensione; l'analisi sui dati patrimoniali ed economici dal 2008 al 2017, riserva delle sorprese.
La ricerca ha riguardato solo le imprese con oltre 500 dipendenti. Dai dati si può notare ad esempio che per gli anni 2016 e 2017 il MOL delle imprese a controllo pubblico è stato del 13,1% contro il 9,8% delle imprese private. Risalendo la catena del conto economico, anche il valore aggiunto è sensibilmente più elevato: il 25,35% in media nei due anni contro il 21,4%. Il risultato corrente prima delle imposte è stato dell'11,5% nel 2016 e del 9,1% nel 2017 per le imprese pubbliche, contro il 5,6% e il 5,4% (2016 e 2017) di quelle a controllo privato.
La scheda seguente riposta anche altri dati: